Cosa non si fa per tirare la volata ai No alla riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere, il doppio Csm per pm e giudici e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare. Ad esempio: falsificare la storia dei due magistrati simbolo della lotta alla mafia. Antefatto: qualche giorno fa Il Fatto Quotidiano ha “arruolato” Giovanni Falcone tra i testimonial del No. Attribuendo al magistrato ucciso nel 1992 da Cosa Nostra una frase contro la separazione delle carriere che sarebbe stata pronunciata in un’intervista a Repubblica del 25 gennaio 1992. Peccato che il quotidiano giuridico on line Il Dubbio, del Consiglio nazionale forense, abbia dimostrato che quell’intervista, semplicemente, non esiste: non è mai stata rilasciata da Falcone. «Chiunque abbia accesso all’archivio storico di Repubblica può verificarlo. Il 25 gennaio 1992 non c’è traccia di alcuna intervista a Falcone».
Piuttosto: il magistrato il 3 ottobre 1991, nel corso di un colloquio con Mario Pirani proprio su Repubblica, aveva espresso tutta la sua contrarietà per la “mescolanza” tra accusa e giudice. Ecco le sue parole a proposito del nuovo codice di procedura penale del 1989: «Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato».
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Ma le parole attribuite a Falcone contro la separazione delle carriere sono state solo l’antipasto dell’offensiva propagandistica, visto che una medesima posizione è stata attribuita, sempre dal Fatto, anche a Paolo Borsellino. Questo il virgolettato incriminato: «Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico». Parole che Borsellino - anche lui assassinato nel 1992 avrebbe pronunciato a Samarcanda, la storica trasmissione condotta da Michele Santoro, in una puntata del 23 maggio 1991, un anno prima della morte di entrambi i magistrati.
Anche in questo, però, Il Dubbio è riuscito a smascherare il quotidiano di Marco Travaglio. Come? Spulciando tra gli archivi e le teche della Rai. E il risultato è inequivocabile: «Paolo Borsellino non solo non fu intervistato a Samarcanda in quella data, ma non è mai stato ospite della trasmissione. Un altro falso. Un’altra manipolazione. Un’altra strumentalizzazione della memoria di un magistrato ucciso dalla mafia». Anche perché le presunte parole di Borsellino, così come quelle attribuite a Falcone, sono state utilizzate in questi giorni dai sostenitori del No, in tv e sui social, per portare acqua al mulino dei comitati contrari alle modifiche costituzionali.
Un’altra brutta figura dei sostenitori del No al referendum, già in affanno per i sondaggi che vedono in vantaggio il fronte del Sì alla riforma quando la campagna elettorale è ancora ai blocchi di partenza. Borsellino, infatti, ricorda Il Dubbio, «non si espresse mai pubblicamente nel merito dell’eventuale separazione delle carriere. Non era un tema su cui aveva preso posizione». Aveva espresso dubbi e preoccupazioni sull’impatto del nuovo codice di procedura penale del 1989, questo sì, ma sulla separazione delle carriere, almeno pubblicamente, non si era pronunciato.
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Non solo: Il Dubbio, ricostruendo il pensiero di Borsellino, ricorda come il magistrato palermitano non fosse affatto scandalizzato dall’ipotesi che il pm potesse passare alle dipendenze dell’esecutivo, possibile sbocco della separazione delle carriere. Questo, però, sarebbe dovuto avvenire solo in presenza di un cambiamento politico-istituzionale, incentrato sulla democrazia dell’alternanza contrapposta alla “democrazia bloccata” della Prima repubblica.
Le rivelazioni sulla falsità dei due testimonial “provenienti dalla storia” hanno provocato, com’era naturale, la reazione della maggioranza. Carolina Varchi, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo in commissione Giustizia alla Camera, ha denunciato «l’ennesima bugia volta a screditare il governo Meloni. Utilizzare e strumentalizzare la figura di un eroe nazionale come quella di Borsellino è ignobile».
«Un altro caso di inaccettabile mistificazione della realtà dei fatti», le ha fatto ecco l’omologo Gianni Berrino, capogruppo nella commissione Giustizia di Palazzo Madama. «È vergognosa questa manipolazione mediatica che falsifica il pensiero dei due giudici per fini ideologici legati alla riforma della giustizia», ha aggiunto la collega di Montecitorio Alice Buonguerrieri, per la quale la circostanza svelata dal Dubbio, «gravissima, non può essere archiviata».




