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Referendum giustizia, Augusto Barbera: "Voto sì. Molti nel Pd con me, ma tacciono"

di Redazione venerdì 28 novembre 2025

2' di lettura

"Al referendum voterò sì". A dirlo non è un esponente di governo, ma Augusto Barbera. Il presidente emerito della Corte costituzionale, nonché ex parlamentare del Pci e poi del Pds, non nasconde la propria posizione in merito alla riforma della giustizia. Anzi, racconta che "dal Pd ho ricevuto diverse chiamate di apprezzamento".

Barbera, raggiunto dal Corriere della Sera, ammette che "molti in quell'area hanno la mia medesima opinione. Anche se alcuni preferiscono non esporsi. Io comunque rimango coerente con il voto che diedi, da parlamentare comunista, a favore del nuovo processo". D'altronde sulla separazione delle carriere non può che dirsi d'accordo con il governo: "Attualmente giudici e pm sono insieme nel Csm e insieme si giudicano. Per questo è corretto che ci siano due Consigli superiori, uno per i giudici, uno per i pubblici ministeri e un'Alta corte disciplinare". E sul rischio di esporre il pm alle direttive dell'esecutivo di turno, dice: "Sono critiche analoghe a quelle che parte dell'Anm mosse a Giovanni Falcone quando promosse la creazione della Procura nazionale antimafia. Aggiungo anche che ci sono sistemi, come quello francese, in cui, pur essendo il pm completamente indipendente, il governo può dare indicazioni sulle linee di contrasto al crimine. Purché siano scritte e non attinenti a indagini in corso".

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E ancora: "Dare direttive generali di politica penale non significherebbe assoggettare il pm: vedi il caso Sarkozy. Inoltre, se stiamo al dettato di questa riforma, è previsto piuttosto un rafforzamento dell'indipendenza del pubblico ministero, considerato anche che viene mantenuta inalterata l'obbligatorietà dell'azione penale". Per di più il sorteggio per i due Csm "è un primo passo significativo per abolire o contenere questo ginepraio di correnti. Per capire quante sono e a chi fanno riferimento sono dovuto ricorrere all'intelligenza artificiale. Nessuno finora ha saputo indicare altri modi per risolvere il problema. Il punto da cui partire è che al Csm non spetta fare politica giudiziaria, ma decidere su promozioni, trasferimenti e provvedimenti disciplinari dei magistrati. Inizialmente, a fine anni Sessanta, la divisione in correnti corrispondeva a diverse sensibilità politico culturali. Oggi sono gruppi di pressione che influenzano le carriere".

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