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I giudici che si prendono pure i poteri degli altri

Matteo Salvini ha tutto il diritto, per carità, anche nei toni enfatici che possono non piacere a qualche schifiltoso, di rivendicare il merito di avere esercitato la doverosa “difesa dei confini nazionali”
di Francesco Damatovenerdì 19 dicembre 2025
I giudici che si prendono pure i poteri degli altri

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Matteo Salvini ha tutto il diritto, per carità, anche nei toni enfatici che possono non piacere a qualche schifiltoso, di rivendicare il merito di avere esercitato la doverosa “difesa dei confini nazionali”. Dove non esistono postazioni di pubblici ministeri o giudici. È il suo commento alla conclusione ora definitivamente assolutoria della lunga vicenda giudiziaria seguita al cervellotico sequestro di persone contestatogli per avere ostacolato più di sei anni fa lo sbarco in Italia degli immigrati clandestini trasportati dalla nave spagnola Open arms, braccia aperte in inglese. Che ai porti spagnoli, appunto, aveva deciso di preferire quelle siciliane solo perché più vicine, a prescindere dalle regole italiane. Salvini era allora vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno del primo dei due governi presieduti da Giuseppe Conte a 5 Stelle, diciamo così.

Uno che viene ancora considerato dai suoi tifosi il capo di governo più bravo d’Italia dopo la buonanima di Carlo Benso conte, al minuscolo, di Cavour. Pensate un po’ quanti anni, fra Monarchia e Repubblica, l’Italia ha dovuto aspettare per avere questa fortuna. In tanti, ingrati che siamo, non ce ne rendiamo ancora conto. Anzi, non ci piace per niente la prospettiva di vederlo tornare a Palazzo Chigi, se e quando Giorgia Meloni ne uscirà sconfitta dall’alternativa di sinistra che è un po’ come l’Araba fenice. Che ci sia tutti lo dicono da sinistra, e anche dai cespugli o dalle appendici moderate che Goffredo Bettini vorrebbe sistemare in una tenda nel fantomatico “campo largo”, ma dove sia esattamente nessuno sa. Neppure Conte, che infatti non si lascia scappare occasione per ribadire che lui non è né si sente alleato di nessuno, libero ormai anche dal fantasma di Gianroberto Casaleggio e dalle invettive di Beppe Grillo. Adesso Salvini, per tornare a lui, è ministro delle Infrastrutture, anziché dell’Interno, dove la guida è toccata al suo capo di gabinetto di allora, Matteo Piantedosi. Che il mio amico Piero Sansonetti avrebbe voluto vedere processare, e magari condannare, al posto di Salvini, come ha scritto sull’Unità.

Eh no, caro Piero, neppure Piantedosi avrebbe meritato il processo sia perché era solo un subordinato di Salvini sia perché quella vicenda era tutta e soltanto politica, per niente giudiziaria. Anche se a ordinare lo sbarco di quegli immigrati fu la magistratura e non Salvini. Nel reclamare e ottenere, grazie ai voti pentastellati concessi in Parlamento a dispetto, il processo a Salvini fu negata alla politica il primato che le spettava e le spetta affrontando problemi come l’immigrazione clandestina. E di questo primato vorrei che Salvini trovasse il tempo e il modo, che certamente non gli mancheranno, di rivendicare il merito di avere ristabilito la forza. Con lo stesso vigore col quale lo ribadiscono e lo sostengono la premier Meloni e il ministro dell’Interno Piantedosi anche nell’applicazione dell’intesa con l’Albania per gestire l’immigrazione clandestina, sempre quella. Un’intesa sui centrisi è proposta energicamente Meloniche “fun zio ne r a n no !”, per quanti ostacoli abbiano già frapposto i magistrati tenendoli praticamente vuoti.

E facendo gridare le opposizioni, avvolti in una fumosa legalità, agli sprechi di risorse e uomini di cui sarebbe responsabile solo il governo. Così i signori magistrati- sempre loro - si sono arrogati il diritto di sindacare intese internazionali su cui avrebbe diritto di eccepire solo il Parlamento. Che si pretende, come al solito, di aggirare nei tribunali con espedienti, nient’altro. E ciò in un andazzo, in un clima, chiamatelo come volete, che potrebbe subire finalmente un colpo decisivo nel referendum sulla riforma della giustizia - anzi della magistratura, parola di Antonio Di Pietro - approvata dalle Camere con l’obiettivo anche di separare le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici. Bisogna uscire dall’aria che tira da troppo tempo.