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Ruby, il pg ricorre in Cassazione: la telefonata di Berlusconi in Questura "fu un ordine"

Nicoletta Orlandi Posti
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La telefonata di Silvio Berlusconi in Questura a Milano, dopo la quale Ruby fu affidata all'allora consigliera regionale Nicole Minetti, ebbe la "natura di un vero e proprio ordine" e non si risolse "nella manifestazione di un desiderio o al più di una garbata richiesta priva di ogni carattere costrittivo". Lo scrive il pg di Milano Piero De Petris nel ricorso presentato alla Cassazione contro la sentenza di assoluzione in appello di Silvio Berlusconi nel processo in cui l'ex premier era accusato di prostituzione minorile e concussione. L'ordine - La richiesta di Berlusconi di affidare la ragazza a Minetti, scrive il pg, "è stata vincolativa" per il capo di Gabinetto Pietro Ostuni e "ha quindi avuto natura di un vero e proprio ordine". A confermare la natura di ordine, secondo il pg, sarebbero stati: "lo stesso tenore testuale della richiesta, il quale non lasciava alcun margine di apprezzamento discrezionale per il funzionario a cui è stata rivolta"; "il comportamento tenuto da Ostuni che fin dal primo momento ha mostrato di averne inteso la natura cogente, traslandolo come ordine sulla Iafrate (Giorgia Iafrate, ndr) e poi su questa reiteratamente intervenendo (n.12 telefonate), affinchè vi fosse data esecuzione, anche contro le direttive impartite dal pm minorile»; (...) la completa assenza di elementi fattuali e logici, i quali consentano di ipotizzare che il capo di gabinetto abbia dato esecuzione alla richiesta per timore reverenziale, timore autoindotto, o per mera compiacenza, o comunque per effetto di un improvvido 'sbilanciamento', o per una 'incauta accondiscendenza' che ne abbiano orientato la condotta". L'età di Ruby - E ancora la conoscenza della minore età. Che Berlusconi sapesse che Ruby era minorenne, osserva il pg, si può dedurre dal fatto che essa fosse "patrimonio comune di quell'ambiente femminile che gravitava attorno alle serate di Arcore, non altrimenti spiegandosi che più partecipi di detto ambiente si siano attivate, pressochè all'unisono, per notiziare Berlusconi dell'accaduto". Altrettanto «"fondamentale" sarebbe poi il fatto che l'ex premier "in un simile ambiente era immerso come primo e principale fruitore delle 'serate'"». Inoltre, il pg sostiene che la Corte d'Appello, presieduta da Enrico Tranfa dimessosi dopo le motivazioni al verdetto, avrebbe letto «illogicamente» altri elementi «senza effettuare tra essi alcun collegamento». Tra questi, oltre ad alcune intercettazioni telefoniche che vedono protagonista Ruby, c'è anche il comportamento tenuto da Emilio Fede (condannato in appello a 4 anni e dieci mesi nel processo 'parallelò). Secondo i giudici di secondo grado, non c'è la prova che il giornalista sapesse della minore età e lo avesse poi confidato a Berlusconi. "Poichè non risulta che Fede fosse affetto da disturbi di memoria - argomenta il pg, richiamandosi al concorso di bellezza siciliano dove Fede era giurato e Ruby concorrente - deve concludersi che la sera del 14 febbraio 2010 (quando Ruby partecipò per la prima volta alle serate ad Arcore, ndr.) abbia certamente riconosciuto Karima El Marhoug, identificandola nella tredicenne egiziana della cui 'lacrimevole storia' - rectius del cui aspetto fisico - era rimasto toccato in terra siciliana». È infine «manifestamente illogico" l'argomento sostenuto in appello per cui Fede non avrebbe avuto alcun interesse a rivelare a Berlusconi la giovane età di Karima. Fede avrebbe avuto "interesse", stando a questa rivisitazione, a dare notizie del dettaglio a Berlusconi, "rimettendogli la decisione sulla partecipazione di Ruby alle serate", "posto che un tale comportamento, tanto in caso di assenso quanto di diniego, avrebbe rafforzato il credito di benevolenza (anche economica) di cui godeva presso l'illustre amico".

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