La verità su Capaci nel computer di Giovanni Falcone
Ventisei anni fa si consumava la strage di Capaci, che da allora si è voluta ridimensionare a semplice vendetta della mafia nei confronti di quei giudici, innanzitutto Falcone e Borsellino (colpito due mesi dopo a via D' Amelio) che le avevano assestato i colpi più duri. Ma senza diventare dietrologi, non c' è chi non veda che Capaci sia stata l' epicentro di una destabilizzazione di cui ancora oggi, come una lunga onda sismica, si sentono le scosse. I moventi, il "contesto" come direbbe Leonardo Sciascia, il quadro nazionale e internazionale in cui si inscrive questa destabilizzazione è il tema ossessivo de I diari di Falcone di uno dei nostri migliori giornalisti investigativi, Edoardo Montolli (Chiarelettere, 256 pagg., 16 euro). I diari del titolo sono le agende elettroniche, i due data-bank Casio e Sharp, in cui Falcone annotava impegni e appunti di lavoro. Dopo l' uccisione di Falcone vennero affidati dal tribunale di Caltanissetta al tecnico informatico Luciano Petrini (trovato col cranio fracassato nel '96, il caso resta insoluto) e all' ex funzionario di polizia Gioacchino Genchi, esperto di traffico telefonico. I due consulenti evidenziarono numerose manipolazioni sui databank, in particolare il Casio fu trovato con la memoria completamente cancellata e senza la memory card aggiuntiva. Montolli sulla base di queste anomalie e delle annotazioni recuperate dai diari, individua diverse piste investigative. La principale si interroga su come la mafia sapesse che Falcone sarebbe atterrato a Palermo sabato 23 maggio, il giorno dell' attentato. Nei processi, i pentiti hanno concordemente dichiarato che, dai pedinamenti del suo autista che andava a prenderlo a Punta Raisi, era loro noto che Falcone arrivava a Palermo sempre di sabato. Ma sulla Sharp, dall' 8 maggio, risultano segnati vari impegni che trattennero Falcone a Roma. Come poterono dunque i mafiosi in quel mese, si chiede Montolli, pedinare l' autista e stabilire che il giorno giusto per l' attentato era il sabato, se Falcone scese a Palermo solo il 18 maggio, che era un lunedì? E risalendo agli appunti di aprile, risulta che Falcone scese a Palermo di venerdì, non di sabato. Perché allora il piano omicida fu preparato proprio sabato 23 maggio? I pentiti si accordarono sulla versione del pedinamento dell' autista, ma ebbero l' informazione corretta dell' arrivo di Falcone da qualcun altro? Chi? Montolli allarga il contesto rivelando che «alle 15.17, quaranta minuti prima che Falcone salga sull' auto che lo porterà a Ciampino, un cellulare 0337, certamente in mano agli stragisti, entra in comunicazione con il Minnesota, Stati Uniti, per quaranta secondi. Appartiene al cugino di Santino Di Matteo, un membro del commando. Il primo fatto strano è che è stato rubato il 15 aprile e il 21 è stato dichiarato cessato. Non potrebbe funzionare. Invece va. Il secondo fatto strano è che tutti i killer negano di averlo utilizzato e di aver telefonato negli Usa». Nella mezz' ora seguente dal cellulare "fantasma" partono altre due chiamate, l' ultima di nove minuti. Chi era da una parte e dall' altra della telefonata? Montolli risponde con «solo un' ipotesi», e la definisce del «doppio cantiere»: «qualcuno avrebbe potuto clonare i telefoni clonati dei mafiosi a loro stessa insaputa. E commettere l' attentato che loro credevano di compiere». Un' ipotesi forse vertiginosa, ma che Montolli argomenta: "se questa ipotesi è plausibile, allora possiamo anche immaginarci il motivo per il quale l' autostrada a Capaci esplose nonostante la triplice indecisione di Brusca nel premere il bottone. Perché dietro il commando di mafiosi, quasi tutti di secondo piano e che lavoravano insieme per la prima volta, poteva esserci qualcuno decisamente più preparato sia tecnologicamente che militarmente. Qualcuno che sapeva come e quando far esplodere gli ordigni». E si torna all' originario progetto di una destabilizzazione nazionale, una strategia del caos che altri, non la mafia, avrebbero orchestrato, e poi proposto alla mafia. IL BOSS DI ALCAMO - Un pentito, ricorda Montolli, ha affermato che il boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo, venne ucciso cinque giorni prima dell' esplosione in via D' Amelio perché si era rifiutato di partecipare a un piano, «proposto da persone dichiaratesi appartenenti ai servizi segreti», volto a «destabilizzare lo Stato». E il pentito precisò che «il primo incontro avvenne prima della strage di Capaci». Nel suo libro, frutto di otto anni di ricerche, Montolli scava ancora con meticolosità in altri filoni oscuri, e terminata la lettura si ha la sensazione che quello che sappiamo su Capaci, via D' Amelio, e sugli ultimi trent' anni della nostra storia recente, sia solo un' ombra della verità. di Giordano Tedoldi