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Guerra in Vaticano, non solo pedofilia: ecco che cosa c'è dietro

di Andrea Tempestini domenica 28 settembre 2014

3' di lettura

Per la giustizia vaticana rischia fra 6 e 7 anni di condanna. Al momento però l’ex arcivescovo polacco Jozef Wesolowski, ex diplomatico e nunzio a Santo Domingo, è obbligato a risiedere in un piccolo appartamento nel palazzo dei Penitenzieri e non può uscire dallo Stato Vaticano. «Arrestato» è una parola forse più grossa della realtà, anche se l’enfasi che ha accompagnato il provvedimento restrittivo nei confronti del prelato accusato di pedofilia e di detenzione di materiale pedo-pornografico è comprensibile: mai un Papa aveva personalmente compiuto una scelta così grave. Non c’è dubbio sull’intenzione di papa Francesco di dare un segnale inequivoco sia dentro che fuori dalla Chiesa sulla pedofilia. Proprio il Papa che allarga le braccia accogliente ai peccatori di tutto il mondo, che ha caratterizzato il suo pontificato con l’inclusione e non certo l’esclusione, ha scelto di essere inflessibile con i suoi. Il perdono è più difficile nei confronti di un sacerdote, che viola altra vocazione e altre responsabilità rispetto ai fedeli, è davvero difficile se il peccato è così terribile come l’abuso di un minore. Una linea durissima già scelta da Benedetto XVI, ma che ha fatto un salto di qualità, quasi una rivoluzione copernicana con Francesco. La vera novità in Vaticano rispetto al passato è stata guardare alle vicende di pedofilia con lo sguardo delle vittime, e non solo dei sacerdoti e delle leggi della Chiesa. Francesco ha voluto che una vittima - una donna irlandese, Marie Collins - facesse parte per la prima volta di una commissione vaticana, quella che deve combattere il fenomeno della pedofilia. E quegli occhi di vittima sono una delle ragioni del clamoroso arresto di Wesolowski. Non è un caso se una decisione così grave è stata adottata dopo il drammatico e commovente incontro di papa Francesco a inizio luglio in Santa Marta con alcune vittime di preti pedofili. È con quegli occhi che il Papa ha chiamato a sé il dossier del processo canonico all’ex diplomatico polacco, ha esaminato le consistenti prove raccolte contro di lui, ha preso la decisione e mandato ad eseguire il provvedimento cautelare la gendarmeria vaticana come era accaduto in precedenza con l’arresto di Paolo Gabriele - aiutante da camera di Benedetto XVI - durante Vatileaks (anche quello della gendarmeria è stato segnale chiaro alla Curia Vaticana). Eppure in quegli arresti domiciliari c’è anche una particolare attenzione nei confronti del presunto colpevole. Il provvedimento serve anche a difendere l’ex nunzio polacco da se stesso. Papa Francesco si è molto arrabbiato per le notizie di Wesolowski che gli erano giunte nelle ultime settimane. Nonostante la condanna di primo grado e la conseguente perdita della immunità diplomatica, l’ex nunzio ha condotto senza particolare attenzione la vita di prima. Non si è ritirato dalla vita pubblica, ha continuato a frequentare persone e luoghi abituali a Roma, è perfino andato a dormire in quel residence di via della Scrofa dove albergava il cardinale Jorge Mario Bergoglio fino al conclave che lo ha eletto Papa. Lì è stato visto anche con grande scandalo dal vescovo ausiliario di Santo Domingo e da alti prelati argentini che hanno subito riferito a papa Francesco preoccupati. A quel punto lo stesso ex nunzio polacco stava rischiando grosso. In Vaticano erano giunte due richieste di estradizione per il reato di pedofilia: una della Polonia, paese natale di Wesolowski (che lì avrebbe compiuto i primi reati), e una della Repubblica di Santo Domingo, dove sarebbero accaduti gli episodi più gravi e anche più vicini nel tempo. Probabilmente entrambi i paesi hanno firmato un mandato di cattura che l’Interpol sarebbe in grado di fare eseguire. Se le manette fossero scattate a Roma, il Vaticano avrebbe avuto un grave danno dalla vicenda e Wesolowski avrebbe probabilmente trascorso i prossimi anni in una galera dominicana. L’arresto Vaticano lo ha quindi salvato da una fine ben più ingloriosa, e allo stesso tempo ha trasformato un possibile danno per l’intera Chiesa in un notevole vantaggio di immagine. di Chris Bonface

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