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Primarie, accordo farsa. Se c'è Sala si sfila Sel

di Nicoletta Orlandi Posti domenica 8 novembre 2015

3' di lettura

Nemmeno il tempo di brindare per la ritrovata unità del centrosinistra, che Sel con uno strattone alla tovaglia mandava in mille pezzi i flut con lo spumante e l’ottimismo del Pd, e inviava al candidato in pectore Beppe Sala un chiaro messaggio: «Qui è tutto un casino». Ma andiamo con ordine. In mattinata si era riunito tutto il centrosinistra per trovare unità sullo slittamento delle primarie dal 7 al 28 febbraio chiesto dal Pd e sulle regole per parteciparvi. Dopo una lunga discussione Sel (unico partito contrario allo spostamento) riusciva a imporre la sua linea al Pd. In cambio i vendoliani firmavano il documento (unici a non farlo i Comunisti italiani) con il quale si stabilisce che chi partecipa alle primarie, poi deve appoggiare il vincitore e non può tirarsi indietro come accaduto in Liguria. Così all’uscita del vertice è tutto un baci e abbracci per la ritrovata unità del centrosinistra. Unità che dura giusto il tempo necessario a Sel per chiarire la sua posizione: «Abbiamo firmato quel documento congelando lo scenario attuale, che vede in campo quattro concorrenti alle primarie: Fiano, Majorino, Caputo e Iannetti - spiega a Libero Mirko Mazzali -. E ci siamo impegnati ad appoggiare fino in fondo chi di loro vincerà le primarie». Attenzione però, perché «se cambiano i giocatori e quelli che arrivano non hanno i nostri stessi valori (leggi, se il Pd candida Sala, ndr) ecco che dovremno riunire il consiglio direttivo di Sel per decidere se partecipare alle primarie, oppure guardare altrove». Parole che di fatto azzerano tutto il lavoro fatto fin qui da Bussolati e Alfieri e che vengono accolte in serata con stupore e irritazione dalla segreteria del Pd. A dirla tutta le cose che non tornano nell’accordo tra i partiti del centrosinistra non si limitano al comportamento di Sel. A lasciare perplessi è anche una frase pronunciata dal segretario metropolitano Pietro Bussolati: «Il Pd molto probabilmente non avrà un suo candidato alle primarie». Affermazione che ha due significati: il primo è che quasi certamente l’aspirante sindaco per i dem sarà un attore terzo, non iscritto al partito. Una descrizione che calza a pennello con quella di Giuseppe Sala e i suoi desiderata. La seconda è che se Fiano, Majorino e Caputo vorranno proseguire comunque nella loro corsa, dovranno farlo a titolo personale, senza l’appoggio del partito. Intanto Giuseppe Sala ieri, dopo aver twittato una foto con la scritta «ricordate la piscina della Repubblica Ceca? Ora non c’è più nulla #nostalgiacanaglia», dai cantieri di Rho in smantellamento, è partito per il primo weekend di relax, al mare, dopo la maratona dell’Expo. Viene descritto come tranquillo e completamente distaccato da quanto sta accandendo tra i partiti del centrosinistra. Del resto lui le sue condizioni le aveva manifestate a inizio settimana ai vertici regionali del Pd. Un incontro poco più che di cortesia, visto che Sala sta giocando la sua partita ai massimi livelli, aspettando martedì l’arrivo di Matteo Renzi. Dovrà essere il premier, infatti, a certificare la candidatura del commissario Expo, sgombrando il campo dai dubbi che ci sono (Sala le primarie le farebbe anche, ma non contro un candidato agguerrito). E che da ieri sono certamente aumentati. Perché è difficile pensare a Sala (uno che ha costruito un’area da un milione di metri quadri in pochi mesi), mettersi a discutere con i mille rivoli della sinistra per lo spostamento di un tombino in Darsena o il taglio di un albero in viale Abruzzi. Che è quello che ha fatto Pisapia in questi anni. Intanto nelle stanze del Pd si sta iniziando a ragionare su cosa fare in caso di un possibile rifiuto di Sala. Majorino e Fiano non convincono Renzi. Così i nomi che circolano sono tre: il ministro all’agricoltura Maurizio Martina, fedelissimo di Renzi, che è stato onnipresente durante i sei mesi dell’Expo; l’archistar ed ex assessore Stefano Boeri che ha un profilo trasversale quasi sovrapponibile a quello di Sala; e infine Umberto Ambrosoli: nessuno al momento glielo ha chiesto, ma che scalpiti è abbastanza evidente. Certo, sul suo curriculum ha la sanguinosa sconfitta delle regionali, ma a Milano città l’avvocato si era difeso bene. di FABIO RUBINI

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