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Kabobo, confermati 20 anni in appello al picconatore di Milano

di Andrea Tempestini domenica 25 gennaio 2015

2' di lettura

I giudici della corte d’assise d’appello di Milano hanno confermato la condanna a 20 di reclusione con il vizio parziale di mente e 3 anni di casa di cura e custodia a pena espiata per Adam Kabobo, il ghanese che nel maggio 2013 uccise a picconate tre passanti nel capoluogo lombardo. Kabobo era stato condannato in primo grado lo scorso 15 aprile con rito abbreviato. I giudici d’appello (presidente Anna Conforti, a latere Fabio Tucci) hanno effettuato calcoli ’'giuridici' diversi da quelli del primo grado partendo da un totale di 32 anni invece di 35, ma alla fine l’entità della pena è rimasta identica. Con lo sconto del rito abbreviato e con il fatto che la pena base non poteva superare i 30 anni, il verdetto definitivo è stato di 20 anni di reclusione. I giudici hanno inoltre riconosciuto i risarcimenti e le provvisionali concesse in primo grado alle parti civili, i familiari di Ermanno Masini, Daniele Carella e Alessandro Carolè, le tre vittime. Il prossimo 10 febbraio per Kabobo ricomincerà l’udienza preliminare con l’accusa di duplice tentato omicidio in relazione ad altre due aggressioni avvenute, sempre la mattina dell’11 maggio 2013.  La delusione - "Speravo in qualcosa di più, ma questo è il massimo che si poteva ottenere e quindi accetto la decisione". Andrea Masini, figlio di Ermanno, una delle tre vittime di Kabobo, commenta così la sentenza d’appello che ha confermato i 20 anni di carcere per il ghanese che uccise a colpi di piccone a Milano. I genitori di Daniele Carella, un’altra vittima, che aveva 21anni, si sono limitati a spiegare di essersi "affidati ai nostri avvocati". Uno dei loro legali, l’avvocato Jean Paule Castagno, ha parlato di una "sentenza giusta, al di là dei pellerossa", facendo riferimento a un paragone utilizzato in aula oggi dai difensori di Kabobo. I legali di Kabobo, Francesca Colasuonno e Benedetto Ciccarone, hanno detto di aspettare le motivazioni prima di decidere per un eventuale ricorso in Cassazione. L’imputato, che era in aula al momento del verdetto, non ha manifestato nessuna reazione durante e dopo la lettura del dispositivo. I suoi legali hanno spiegato che il loro assistito, affetto da schizofrenia, è sotto costante trattamento farmacologico. 

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