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Vendola arruola annusatoriper misurare i fumi dell’Ilva

Volontari girano per Taranto e segnalano puzze anomale all’Arpa. In base alla sgradevolezza interviene il pool di olfattometri
di Matteo Legnani domenica 17 novembre 2013

3' di lettura

A naso, la situazione ambientale di una città splendida come Taranto, è grave. A naso, sì, e non per modo di dire, dato che l’organo dell’olfatto già da una settimana è il primo campanello d’allarme per le “emissioni odorigene”, come le chiamano gli esperti, cioè le puzze, come le chiama invece Lea Cifarelli, tarantina del centrale quartiere Borgo, che fa parte dei venti volontari “annusatori” dell’iniziativa dell’Arpa (agenzia regionale per la protezione ambiente) con la consulenza del dipartimento di chimica dell’università di Bari. L’idea è ispirata alla “validazione consensuale” in uso nelle fabbriche negli anni ’70, cioè tradotto dal gergo della psicologia del lavoro: se tutti (gli operai in una fabbrica, i residenti in un quartiere) sono d’accordo nel percepire soggettivamente un certo problema, in particolare per la salute, allora quel problema esiste oggettivamente e va risolto. In questo caso, i volontari mettono a disposizione i loro nasi, come per creare un unico enorme naso a disposizione della città di Taranto, a guardia delle emissioni nocive. Come avviene la rilevazione “nasometrica”? Ce lo spiega la stessa Cifarelli: «Ogni volontario ha un codice identificativo geolocalizzato. Quando avverte una puzza sospetta, non riconducibile al normale smog, chiama il numero verde dell’Arpa rispondendo a una voce automatica che chiede di segnalare il tipo di odore, in ordine crescente di sgradevolezza, da 1 a 3, indicati dai colori verde, giallo, rosso. Viene localizzata così l’origine della puzza e se arrivano tre segnalazioni rosse da altri volontari in quella stessa zona e nella stessa fascia oraria, scatta la rilevazione della centralina Arpa che monitora le nubi di gas, e che qui a Borgo è a piazza Garibaldi».     Dopo che le centraline hanno prelevato campioni d’aria per le analisi, entrano in gioco i veri e propri esperti olfattometrici che in laboratorio annusano il campione d’aria e ne forniscono una valutazione con una scheda tecnica secondo parametri quali concentrazione, intensità, tono edonico (il grado di piacevolezza o spiacevolezza dell’odore). Infine, segue la verifica sul luogo dell’emissione sospetta. L’Arpa sottolinea che l’iniziativa non sostituisce ma si affianca alle normali rilevazioni automatiche. «Qui a Taranto, specialmente nei quartieri a ridosso degli stabilimenti industriali, abbiamo sviluppato una sensibilità molto acuta», racconta Cifarelli, «ci rendiamo subito conto se un odore sgradevole proviene da qualche fonte inquinante. È un odore caratteristico di zolfo, spesso viene dalla raffineria dell’Eni. Lo si avverte più forte nelle ore serali e notturne, apriamo le finestre e ci entra nelle case. Proprio quando la città è più distratta, aumenta». Espressa l’incondizionata solidarietà ai cittadini di Taranto e ai volontari annusatori, vittime di chi antepone i tassi di produzione alla salute, rimane la sensazione di una sottovalutazione dei problemi, se non di una beffa. Combattere la diossina dell’Ilva o le nubi di gas della raffineria Eni annusando l’aria? L’Arpa che nomina venti cittadini sceriffi della qualità dell’aria, ovviamente senza pagarli, affidandosi alla loro percezioni come usava in fabbrica, nei gloriosi anni ’70, con la “validazione consensuale”? Ma una città non è un luogo piccolo e chiuso come una fabbrica, è un territorio vasto e apertissimo in cui un pugno di volontari sono un pannicello caldo di fronte all’entità di un disastro ambientale di cui le indagini sull’Ilva ci svelano le sconcertanti proporzioni. Viene il sospetto che l’Arpa abbia voluto soprattutto dare un contentino alla cittadinanza, creando questa task force di volontari. Gianluigi De Gennaro, del dipartimento di chimica dell’università di Bari, ci spiega che gli annusatori sono uno strumento importante che supplisce alla mancanza di tempestività e continuità degli strumenti tradizionali, ma confessa che i volontari sono pochi (se ne aspettavano una quarantina e sono la metà, segno che in pochi ci credono) e non nasconde che sia anche un modo per coinvolgere la cittadinanza. Temiamo che i volontari, in cuor loro, sappiano bene di essere impotenti di fronte ai colossi industriali e alle loro ciminiere, vedremo se i fatti ci smentiranno o se, come crediamo, non si può ripulire il marcio di Taranto annusando l’aria che tira, in venti. di Giordano Tedoldi

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