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Boss come macellai

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decidevano i prezzi della carne

Albina Perri
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Non parlavano solo di estorsioni e di traffico di droga, ma si divertivano anche a fissare i prezzi della carne. Era il passatempo di alcun boss della mafia a Palermo che si davano appuntamento in una casupola abbandonata nel quartiere Cruillas. Una mafia impegnata su tutti i fronti quella che si scopre nell'inchiesta condotta dai carabinieri del comando provinciale e denominata “Michelangelo”. 12 presunti esponenti del clan “Noce”, uno dei più estesi ed importanti nel capoluogo siciliano, sono stati arrestati: non si occupavano quindi soltanto di racket e smercio di stupefacenti, ma controllavano i prezzi dei generi alimentari come la carne, messa sul banco a 10-11 euro al chilo. Un prezzo competitivo rispetto ai costi delle altre grandi città della penisola. L'indagine è arrivata a conclusione grazie anche alle intercettazioni dei dialoghi tra Pietro Tumminia, considerato il capomafia della famiglia Altarello, e un macellaio che si sfogava per i prezzi troppo bassi praticati da un concorrente: “Si è stabilito un certo prezzo… giusto. L'accordo è stato fatto da 10 a 11 euro al chilo”, afferma il boss in una di queste. L'inchiesta, coordinata dal pm Roberta Buzzolani, porta alla luce anche l'organigramma del mandamento capeggiato dal boss Giancarlo Seidita, arrestato nei mesi scorsi. Tumminia ed Enrico Scalavano, detto “il re del pizzo” battevano a tappeto gli esercizi commerciali e le imprese della loro zona, guadagnando fino a 50.000 euro al mese.

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