Valanghe, Bertolaso accusa:
i morti si potevano evitare
«Sono stufo che i nostri soccorritori perdano la vita perché le persone vanno a fare escursioni in modo sprovveduto e senza tenere conto degli allarmi». Lo ha detto il responsabile della protezione civile, Guido Bertolaso, commentando la morte in Trentino dei quattro tecnici del Soccorso Alpino deceduti ieri sulle Dolomiti mentre cercavano due dispersi. «Oltre alle emergenze legate alle alluvioni - ha detto Bertolaso - oggi c'è anche il dolore per i nostri ragazzi morti in Trentino per cercare di salvare la vita ad altri». Il capo della protezione civile era visibilmente avvilito e dispiaciuto. Bertolaso ha poi ripetuto: «Basta morire per gli errori di altri». All'ennesima tragedia di questo 2009, il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso non ce la fa più e dice: «sono stufo che i nostri soccorritori perdano la vita per colpa degli sprovveduti che non tengono conto degli allarmi e degli appelli delle istituzioni. Basta morire per gli errori di altri». Uno sfogo che ha un motivo preciso, perché è chiaro a tutti che, se i due turisti friulani avessero dato ascolto ai bollettini meteorologici che parlavano di un rischio massimo di valanghe in Trentino, avrebbero avuto salva la vita e soprattutto non avrebbero costretto i quattro soccorritori del Soccorso Alpino ad andare a cercarli, trovando la morte. «Le vittime - dice ancora Bertolaso - potevano essere evitate. C'è gente che non ascolta gli appelli che arrivano dalle istituzioni; i rischi erano stati indicati, ma la gente va a fare le escursioni come se nulla fosse». Molte tragedie che investono il paese sono dovute alla poca prevenzione o a comportamenti scorretti e disonesti di cittadini, ma a volte anche delle istituzioni: se a L'Aquila si fosse costruito seguendo regole e norme, il numero delle vittime sarebbe stato inferiore; se a Messina non si fosse abusato del territorio in maniera così palese, oggi non si conterebbero 32 vittime, ma soltanto danni. «Manca la prevenzione, non c'è rispetto per il territorio» ripete da otto anni il capo della Protezione Civile. E la mancanza di una cultura di prevenzione, che consentirebbe la realizzazione di un vero piano di interventi di messa in sicurezza del paese, è la battaglia che Bertolaso non è riuscito ancora a portare a termine. Anche a Natale, due giorni prima della tragedia della Val di Fassa, lo aveva detto chiaramente: «In questo 2009 il susseguirsi degli eventi ha messo in evidenza la fragilità del nostro paese - ha scritto sul sito del Dipartimento - Un paese fragile perché abbiamo lasciato innalzare oltre il necessario le soglie di pericolosità legate ai tanti rischi con i quali conviviamo, fragile per i nostri errori passati e per i cambiamenti che verifichiamo sul territorio e nelle condizioni meteo, fragile perché troppe volte abbiamo fatto affidamento più sulla buona sorte che sulla nostra capacità di gestire la realtà e il suo divenire». Dunque, «nel prossimo anno dovremo lavorare molto di più sul fronte della prevenzione, per cominciare finalmente a ridurre i livelli di pericolo più evidenti ed incombenti». Nel 2010 bisognerà lavorare anche per cercare di cambiare certi comportamenti dannosi e spesso illegali di cittadini, istituzioni o enti. Già nel 2003, quando l'Italia si bloccò per il maltempo, Bertolaso ne era convinto, accusando i gestori delle autostrade di non aver fatto tutto il necessario per evitarlo e gli automobilisti di non essersi informati. Da quell'emergenza nacque il Centro di coordinamento in materia di viabilità del Viminale, un organismo presieduto dalla polizia stradale cui spetta la gestione e il coordinamento in caso di criticità. Anche il capo della polizia stradale, Roberto Sgalla, ha sottolineato nei giorni scorsi, quando l'Italia era sommersa dalla neve e dal gelo, i comportamenti scorretti di alcuni cittadini: «Abbiamo riscontrato comportamenti abnormi da parte degli automobilisti, come il non avere le catene nei tratti in cui nevicava pesantemente. E questo nonostante l'informazione fosse stata capillare». A Milano, una settimana fa, si è avuta l'ennesima prova: l'abbondante nevicata era stata annunciata con 24 ore di anticipo e il Comune aveva invitato gli abitanti a lasciare l'auto a casa. Eppure, migliaia di cittadini sono rimasti bloccati nelle vetture. Il Club Alpino Italiano ha ripetuto, tra la rabbia e la frustrazione, il fatto che davanti a certi comportamenti c'è poco da fare: «Quando c'è un allarme, purtroppo noi dobbiamo intervenire anche se le condizioni sono proibitive e i rischi massimi. Ed è quello che è accaduto, nonostante il rischio di valanghe fosse al livello più alto e soprattutto fosse stato indicato nei bollettini fin dalla mattina». L'INCIDENTE - Ci sono poche parole e molta tristezza in Val di Fassa, dove vivevano i quattro soccorritori morti sotto una valanga ieri sera per tentare di salvare due turisti. Del Soccorso alpino si erano precipitati in sette: uno è uscito illeso, due feriti, fuori oggi dall'ospedale, ma sotto shock, e quattro sono morti, estratti dalla neve già nella notte, ma impossibili da trasportare. Del soccorso alpino hanno perso la vita Diego Perathoner, 42 anni, Ervin Ritz, 32 anni, Luca Prinot, 43 anni, Alessandro Dantone, 39 anni, tutti della val Di Fassa, esperti ai massimi livelli. I due turisti deceduti erano arrivati da Udine per una breve vacanza. Sono Fabio Baron, 30 anni, originario della stessa Udine, e Diego Andreatta, 31 anni, nato a Palmanova, in provincia, che gli amici definiscono esperti di montagna e prudenti. A rimanere feriti, tra i soccorritori, sono stati Roberto Platter e Sergio Valentini. Entrambi in ospedale dalla notte per ipotermia, oggi in discrete condizioni fisiche, ma molto provati psicologicamente, ancora più dei colleghi che hanno seguito l'accaduto via radio o che sono intervenuti subito dopo la tragedia. A rimanere indenne, tra i sette accorsi per primi, è stato Martin Riz, che sfiorato dalla seconda valanga ha allertato gli ulteriori soccorsi e oggi, provato dalla tragedia dice:«sono stato fortunato. Non so se farò altri soccorsi. Ho una famiglia a cui badare». IL CORDOGLIO DELLA POLITICA - Il cordoglio del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è giunto di mattina presto, attraverso un messaggio al presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai. «A lei, Signor Presidente - ha scritto Napolitano - la mia solidarietà ed affettuosa vicinanza e la prego di rappresentare ai familiari delle vittime la mia commossa partecipazione al loro cordoglio e ai feriti gli auguri di una pronta guarigione». Lo stesso Dellai, intanto, si è precipitato sulle Dolomiti già intorno alle 7, per seguire le ultime fasi del recupero delle salme e stare vicino ai familiari. «Non ci sono parole capaci di contrastare il grande dolore che ci lascia tutti attoniti - ha detto Dellai ai responsabili del Soccorso alpino della Val di Fassa, di cui i quattro facevano parte - e quel che è successo ricorda prepotentemente a noi tutti che ogni giorno uomini e donne del nostro Trentino rischiano la vita per il prossimo, per essere fedeli a quello spirito di solidarietà che fa parte della nostra costituzione morale». Cordoglio intanto è giunto anche da politici e istituzioni, tra cui il presidente del Senato, Renato Schifani, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente della Federazione italiana sport invernali, Gianni Morzenti, il vicepresidente del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (Cnsas), Valerio Zani, salito in Trentino.