La polemica

Le Iene, il suicidio dopo il servizio di Viviani? "Cosa c'è dietro davvero"

Hoara Borselli

Fino a dove si può spingere il diritto di cronaca? Chi traccia quel limite che stabilisce il confine fra l'inchiesta e lo sciacallaggio mediatico?
È una domanda che dobbiamo porci, visto che oggi a margine di una duplice tragedia si trova coinvolto un notissimo programma televisivo, Le Iene, di fatto indagato dalla procura per istigazione al suicidio.

Tutto inizia con la morte di un ragazzo 24enne, Daniele, trovato impiccato dai suoi genitori nella soffitta della sua abitazione. Il motivo? La ragazza, Irene, con la quale si scambiava messaggi d'amore da circa un anno, era in realtà un uomo 64enne che si fingeva tale.
Semplicistico pensare che il folle gesto di Daniele sia riconducibile unicamente alla terribile delusione subìta. Può un ragazzo così giovane pensare che la vita non possa offrire nessun'altra possibilità di riscatto? Sicuramente c'era tanta fragilità, nel suo mondo interiore.

A questo punto entrano in gioco Le Iene. Matteo Viviani e Marco Fubini, specializzati nelle inchieste d'assalto. Il 64enne viene sorpreso per strada mentre spinge la carrozzella della madre disabile. Volti pixellati ma riconoscibili. Domande incalzanti. Nulla viene tralasciato, in gergo giornalistico possiamo dire che hanno portato a casa un gran lavoro. Il giorno dopo nel paesino di 13 mila abitanti vengono affissi i poster dell'uomo: nonostante fosse celato, tutti lo avevano riconosciuto. Il mostro sbattuto in prima pagina, come si dice.

Accade poi l'imponderabile: la preda delle Iene si ammazza. Lo troverà la ma dre il giorno dopo la messa in onda del servizio, riverso a terra dopo aver ingerito un quantitativo letale di farmaci. Responsabile della sua morte è proprio il programma Le Iene, scrivono. Lo dice la stampa, sta indagando la procura.

Ora, per noi è semplice stampare manifesti di condanna e di messa all'indice. Le Iene hanno colpito, hanno messo alla gogna, Le Iene hanno spinto al suicidio. Andiamoci piano. Per due ragioni.

 

 

 

La prima riguarda l'essenza stessa del suicidio, le sue cause, i suoi misteri. Soprattutto i suoi misteri. Chiediamoci: come succede che a un certo punto, a un essere umano, a qualunque età e di qualunque condizione sociale, sparisce l'istinto di conservazione, cioè il principio fondamentale della vita, soppiantato dalla disperazione e dal desiderio di morte? Nessuno sa rispondere a questa domanda. Ma allora, scusate, perché parliamo con tanta facilità di istigazione al suicidio? Che reato è? In che cosa consiste? Come si riconosce questo reato?
Chi è in grado di capirlo e definirlo?

La seconda ragione di prudenza riguarda il giornalismo. Certo, il giornalismo è un attrezzo pericoloso. Spesso può fare molto male alle persone. Non è un caso raro. Pensate a quante persone famose sono state demolite nella loro reputazione dalle inchieste giornalistiche, o più spesso ancora dalla superficialità di chi si limitava a pubblicare sui giornali e dare clamore e risalto al lavoro di accusa, o solo di sospetto, di qualche pm. Allora tutto questo che cosa vuol dire, che va sospeso il giornalismo? Soprattutto in questo caso, finisce sotto accusa il giornalismo di inchiesta. Il lavoro di scavo, di ricerca, di cronaca appunto, che hanno fatto alcuni nostri colleghi. Certo, potevano fermarsi un metro prima, perché sapevano che stavano trattando un argomento delicatissimo, intimo, pericoloso. Ma chi decide qual è questo metro prima?

Adesso che quest' uomo si è suicidato è facile per noi ragionare. Ma quando sei nel fuoco del lavoro, dell'inchiesta, e le tessere tornano e si incastrano, chi te lo dice: amico, adesso basta. Mi piacerebbe se contro Le Iene, quantomeno, non si accanisse la stessa mania di ricerca del colpevole seguendo la quale le stesse Iene hanno portato quest' uomo alla disperazione. Dico solo questo: spezziamo il cerchio. Interrompiamo la furia moralizzatrice. Non moralizziamo i moralizzatori. E salviamo il giornalismo perché un giornalismo cattivo è meglio di nessun giornalismo.