Dopo la sentenza

Salvati gli orsi? L'affondo di Senaldi: adesso pensate alle malghe

Pietro Senaldi

In Italia, se si ha a che fare con la giustizia, meglio essere un orso che un esponente del centrodestra. Le toghe trattano gli animali come se fossero uomini, e ci starebbe anche bene, non fosse che poi riservano alle persone che stanno loro antipatiche una cura da bestie. Il Consiglio di Stato ha stabilito che Jj4 ed Mj5, i plantigradi trentini, non vanno ammazzati, anche se la prima ha fatto fuori un giovane che correva per i boschi vicino a casa e il secondo ha quasi mandato al cimitero un uomo che passeggiava con il proprio cane. I loro comportamenti non sono abbastanza gravi per giustificare una simile pena, hanno spiegato i magistrati, applicando agli orsi le logiche con cui si giudicano gli esseri umani. La decisione del presidente del Trentino, il leghista Fugatti, di abbatterli non aveva invece intenti punitivi. Il governatore non si ispirava a Kant né ad Hammurabi ma alle regole etologiche, che dicono che quegli animali, una volta che aggrediscono un uomo, smettono di averne paura e diventano pericolosi per sempre.

 

 

Comunque non stiamo di certo a invocare la sentenza capitale per i due poveri orsi, che sono anch’essi vittime, dal loro punto di vista, se non altro perché la loro odissea giudiziaria non è ancora finita, visto che il Tar a dicembre rivaluterà il verdetto di ieri. Ci fa piacere abbiano salvato la pelle, almeno loro e almeno per ora. E adesso qualcuno dovrebbe però pensare anche alle malghe, i ristori che ospitano greggi e pastori durante l’alpeggio estivo. Il Trentino sostiene che il salvataggio degli orsi determinerà la morte di cinquecento di queste baite, perché nessuno vi si spingerà, per timore di essere sbranato. Sono le controindicazioni dell’iper-animalismo, che arriva a negare le leggi elementari della natura per cui gli animali, uomini compresi, si ammazzano tra loro per sopravvivere e difendere il proprio habitat. In Trentino l’uomo ha sbagliato, consentendo una riproduzione dei plantigradi superiore a quella che quelle zone può sopportare. Da qui le aggressioni. La sola cosa certa è che continueremo a perseverare nell’errore.

 

 

Detto questo, farebbe piacere anche se la giustizia avesse lo stesso riguardo quando sotto la sua scure capitano teste autorevoli del centrodestra e non solo musi da orsacchiotti. Non ci vorrebbe poi molto. Basterebbe recapitare un avviso di garanzia a un ministro prima che ai giornali, specie se è sotto la lente della Procura da otto mesi. O almeno dopo, senza lasciare lui e tutto il governo a rosolare davanti al grilletto della Procura. Non farlo è un atto politico e non processuale, indegno della magistratura. Nel caso La Russa invece le belve sono gli odiatori della maggioranza, che hanno già condannato non il terzogenito del presidente del Senato ma tutto il clan; per fisiognomica, cultura, non appartenenza, pregiudizio, sessismo. A pensarci bene, avevano già condannato addirittura prima che avvenisse il fatto... Si dice che il Quirinale stia esercitando sul premier la sua moral suasion, traducibile con pressione leggera ma irresistibile solitamente ispirata a principi in genere sintonici alla visione sistemica del Pd perché la riforma della Giustizia cambi qualcosa, per esempio riconsideri l’abolizione dell’abuso d’ufficio. I cambiamenti da apportare al sistema sarebbero molti, ne verranno un po’ secondo equilibri politici-giudiziari, e non necessariamente i più impellenti. Ma forse basterebbe che le toghe cominciassero a trattare i politici che gli stanno sulle scatole come orsi, se non come esseri umani.