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Benito Mussolini, parla il suo carceriere: "Come fu liberato dai nazisti"

Daniele Dell'Orco
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Operazione Quercia del 12 settembre 1943, che consentì a Benito Mussolini di evadere dal suo confino sul Gran Sasso, non fu proprio una passeggiata di salute. I nazisti, coordinati per cielo e per aria, per lanciare un segnale forte agli Alleati prepararono una passerella ad effetto per la tecnologia dell’epoca. Un convoglio aereo planò dal cielo su Campo Imperatore per distribuirsi lungo le zone di atterraggio. Allo stesso tempo, la colonna degli autocarri con i parà tedeschi avanzò, nella valle del Raiale, passando per Paganica e Camarda, in direzione della stazione di base della funivia.

Arrivati ad Assergi, in prossimità dei pagliai presenti all’epoca, al chilometro diciotto, aprì il fuoco contro una guardia forestale, Pasqualino Vitocco, che morì il giorno dopo presso l'ospedale civile dell’Aquila. La pattuglia riuscì a raggiungere la stazione di base della funivia a Fonte Cerreto. Al comando c’era il Tenente Weber che ordinò di aprire il fuoco contro i carabinieri italiani. Uno di loro Giovanni Natali, si trovò esposto al fuoco tedesco e morì nei pressi della stazione della funivia; altri due militari rimasero feriti.

 

 

 

Tra le nuvole, i rimorchiatori sganciarono gli alianti che, superato lo sperone della montagna, calarono all’improvviso sul pianoro di Campo Imperatore. Presero terra fra le rocce tutto intorno all’albergo. Tra gli italiani che sorvegliavano il Duce a vista in quei giorni c’era Ferdinando Tascini, classe 1922. Ieri ha compiuto 101 anni. Sebbene nelle foto dell’epoca Mussolini viene ritratto con un sorriso sardonico, Tascini ricorda bene ancora oggi i tormenti del capo del fascismo: «Si rendeva conto che era un uomo finito, distrutto - dice a Libero -. Lo vedevo passeggiare ed era palese anche solo dal linguaggio del corpo, dalla presenza fisica. Non era più lui. Non poteva non rendersi conto che si stava avvicinando la sua fine».

 

 

 

LA VITA

Tascini, nato a Todi da una famiglia contadina, è il terzo di cinque fratelli. Dopo la chiamata nell’esercito durante il Secondo conflitto mondiale venne inviato il Montenegro per quasi un anno. Si arruolò poi nell’Arma dei carabinieri e fu richiamato in Italia, prima a Bari e poi a Roma. Nella Capitale venne scelto per una missione speciale e, a sua insaputa, si ritrovò a guardia di Mussolini. Un evento che segnò il destino dell’Italia e di cui lui fu testimone, probabilmente unico superstite.

«Le nostre giornate lì furono tranquille. Io ero addetto al telefono dove ricevevo le notizie dalla base della funivia. Naturalmente avevamo mezza giornata libera e si andava a passeggio nelle vicinanze dell’albergo per passare il tempo. Dopo di che si faceva qualche buona partita a carte e il tempo passava così. Mussolini aveva una scorta continua di tre o quattro carabinieri. Ricevemmo l’ordine che se Mussolini avesse tentato di fuggire avremmo dovuto sparare. Ma tutto sommato era anche lui piuttosto libero di muoversi. Erano giorni di attesa. Sapevamo che qualcosa doveva succedere ma l’alone di segretezza circondava tutto. Anche lui diede la sensazione di non sapere molto e aspettava di capire se sarebbero arrivati prima i tedeschi o gli anglo-americani. Il pomeriggio del 12 chiese “chi sono?”. Non so se in cuor suo avrebbe preferito trovarsi di fronte gli inglesi».

 

 

 

Quel giorno Tascini si trovò sotto la finestra un ufficiale tedesco con la mitraglietta pesante puntata contro. I nazisti stavano stringendo il cerchio intorno all'hotel. Attese ordini: «Ci dissero di scendere disarmati. Ormai il nostro compito era finito». Il ricordo più nitido ce l’ha di Skorzeny: «Un signore pieno di arrivismo, contento di aver preso parte a quell’impresa. Quando partì la cicogna lui era pronto per farsi vedere. Non avrebbe neanche dovuto salire a bordo perché conteneva solo due persone e la terza, di quella stazza poi, non era contemplata. Lui si volle infilare dietro a Mussolini». Infine, un retroscena: «Due giorni dopo tenente Alberto Faiola (comandante dei 43 carabinieri presenti, ndr) ci riunì e ci disse testualmente: “Era nostra intenzione partire e portar via Mussolini da qui, dove non avrebbero potuto trovarlo e liberarlo”. Non spiegò molto di più, ma lasciò intendere che gli ordini fossero diversi».

Nel 2019 dopo 70 anni Tascini tornò con sua figlia e parte della famiglia a Campo Imperatore: «Preso subito il fazzoletto che mi veniva da piangere, ero emozionato, non mi sembrava di essere lì, non riconoscevo niente ma fu una sensazione straordinaria». Ai giovani di oggi l’ultracentenario Tascini dedica un pensiero: «La vita ci riserva molte cose belle e brutte, Cercate di affrontarle serenamente, di non tirarvi indietro di fronte alle difficoltà e non vi scordate di niente e soprattutto tenete sempre sotto gli occhi la Costituzione, lì c’è tutto». 

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