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Antagonisti senza basi storiche: studenti ignoranti sulla "scuola fascista"

Marco Cimmino
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Nello sconclusionato linguaggio sessantottesco, la parola “fascista” suonava alle orecchie dei ciarlatori da piazza, a un dipresso, come una media vox: fascista significava nemico, violento, ottuso, antidemocratico. Ma voleva anche dire che eri una carogna tout court: ad esempio, la fanciulla progressista diceva al fidanzato geloso che era fascista, perché non apprezzava le attenzioni altrui nei riguardi dell’amata.

Insomma, sul termine pesavano parecchi equivoci, tanto politici quanto etimologici. Questo utilizzo un tantino arbitrario della parola si è mantenuto nel tempo, mercè anche la pressante necessità di certa sinistra di tenere vivo l’allarme nei confronti dell’esecranda ideologia, pena il rimanere senza argomenti. Così, oggi, lo studentame antagonista proclama la propria intenzione di lottare contro la scuola fascista, senza punto immaginare di cosa si stia parlando. Suppongo che essi intendano una scuola in cui i pregiudizi di classe siano la norma, in cui ogni dissenso venga zittito a randellate e che, in definitiva, non funzioni, a fronte di una scuola antifascista che dovrebbe funzionare meravigliosamente.

Vada sé che questa scuola fascista non esista, se non nella fantasia di questi ragazzi, ma, per la verità, la scuola italiana ha introiettato, con risultati a dir poco catastrofici, proprio il peggio di quell’ideologia sessantottina che pare rappresentare la loro bibbia illustrata. Perché, duole dirlo, la vera scuola fascista, ossia quella prodotta dalla riforma Gentile del 1923, sarà anche stata poco bella alla luce della lotta di classe, ma funzionava piuttosto bene. Certo, prevedeva all’origine dei canali selettivi decisamente classisti: avviamento professionale, istruzione tecnica e licei, con il liceo classico a farla da padrone. Però, chi usciva dalle professionali sapeva fare il proprio mestiere, i tecnici erano tecnici coi fiocchi e dal liceo gentiliano è uscita una generazione che ha fatto onore all’Italia in molti campi.

 

Perché la scuola d’antan era seria, selettiva, faticosa: tanto quella fascista quanto quella comunista. Non crederete che in Urss, a scuola, gli studenti si occupassero di gender o di cyberbullismo: studiavano a testa bassa, per il bene proprio e del socialismo. Perché il punto non era essere fascisti o comunisti: il punto era essere bravi. E questo stride con la desolante ignoranza di questi tribuni del popolo, che lanciano proclami contro la scuola fascista e poi credono che Hitler sia morto negli anni Settanta. 

 

E, a titolo di clausola, aggiungo che nella scuola fascista esisteva l’ascensore sociale: i fascisti erano cattivissimi, ma non erano mica scemi. Quelli bravi e studiosi andavano avanti, anche se provenivano da famiglie umilissime. Invece, in quest’epoca meravigliosa di democrazia e felicità, chi ha alle spalle famiglie che paghino lezioni private e viaggi all’estero si trova la strada spianata, mentre il figlio di Cipputi rimane al palo. A me piacerebbe che questi giovanotti protestassero contro una scuola che non funziona, non contro una scuola che non esiste. Ma, purtroppo, il pensiero di sinistra ha abbandonato il materialismo per dare la caccia ai fantasmi: trascura la realtà, inseguendo le proprie ossessioni. Esattamente come fa un malato di mente.

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