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Mandante, alle origini della parola e l'evoluzione del significato

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Massimo Arcangeli
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Se per studente, docente, presidente il modello è il latino (studere “studiare”, docere “insegnare”, praesidere “presiedere”) i participi presenti con valore sostantivale amante, comandante, occupante, partecipante, esattamente come mandante, sono ricavati dai corrispondenti verbi italiani (amare, comandare, occupare, partecipare).

Nell’italiano dei primi secoli mandante poteva significare “mittente”, come in Brunetto Latini, maestro di arte letteraria e scrittoria di Dante Alighieri («nella pistola bisogna di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c’altrimente non si puote sapere a certo né l’uno né l’altro», La rettorica), o indicare una nazione o un’altra autorità politica sovrana- così ancora in epoca postunitaria - che disponesse di un incaricato (un messo, un ambasciatore, un inviato, ecc.) chiamato a rappresentarla presso un’entità politica omologa. Nel primo caso la parola si contrapponeva a destinatario, nel secondo a mandatario. La contrapposizione fra mandante e mandatario sopravvive nell’uso giuridico corrente per dire di qualcuno che decida di affidare a qualcun altro, previa firma di un contratto di mandato, il compito di fare le sue veci: «Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano le norme del capo VI del titolo II di questo libro» (Codice civile, art. 1704).

Per Carducci mandante è sinonimo di elettore. Il Parlamento, perla sua caustica penna, è «un collegio di buoni ragazzi, che vogliono, come i loro mandanti, più figurare e divertirsi che lavorare: onde venti giorni di discorsi ed emendamenti, e ordini del giorno a tonnellate, e dieci leggi votate in dieci minuti: folla agli scandali, deserto ai bilanci: fanno forca, burlando il maestro» (Confessioni e battaglie di Giosue C., Bologna, Nicola Zanichelli, 1890, p. 464 sg.). I mandanti di questi ultimi giorni, agitati dall’ennesimo dossieraggio, a mezzo fra uno spionaggio e un killeraggio, attengono alla natura delittuosa dell’atto. “Buoni ragazzi” anche loro. Come i malavitosi goodfellas di un memorabile film di Martin Scorsese (1990). Da noi fu tradotto, per l’appunto, Quei bravi ragazzi.

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