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Stop ai test di accesso di medicina

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Luca Puccini
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Via il test d’accesso per gli iscritti alle facoltà di Medicina. È un «passo storico» e, su questo, il ministro dell’Università Anna Maria Bernini (Forza Italia) ha ragione da vendere: ma è anche un passo necessario perché, parliamoci chiaro, la carenza di dottori e professionisti della salute rischia di mandare in tilt il Paese e non per scherzo. Mancano 11mila camici bianchi ospedalieri, almeno 3mila medici di base e 70mila infermieri: e più andiamo avanti più sarà peggio, da un lato perché bisogna mettere in conto il pensionamento di chi ha raggiunto l’età per appendere lo stetoscopio al chiodo, dall’altro perché se il saldo uscite-entrate (dove per entrate s’intendono le immatricolazioni universitarie) non è positivo, i dolori, letteralmente vista la questione in esame, saranno per tutti.

Bisogna programmare, quindi (ché poi, alla fine, è la lezione che ci ha lasciato il Covid: proprio lì, in corsia, oltre l’accettazione, quando chirurghi e portantini erano i nostri eroi, quando avevamo giurato di stare dalla loro parte sempre e qualsiasi cosa succeda, quando si facevano in quattro ed erano pochi già allora, ma erano anche l’unico argine che avevamo tra noi e un virus sconosciuto). È rimasta, però, quella lezione: ché quando succede il patatrac o sei preparato oppure è peggio, e per essere preparato devi pensarci prima. Cioè adesso.
Non sarà più necessario passare il “concorsone” per accedere al primo anno di Medicina o di Odontoiatria e protesi dentaria o di Veterinaria, probabilmente già dall’anno accademico prossimo (il 2025-2026); non ci saranno più le corse, i quadri, gli elenchi, i ripieghi dell’ultimo minuti a Farmacologia (così-resto-nel-ramo-e-magari-l’anno-prossimo-ci-riprovo); non ci saranno lungaggini, tempi morti, ritardi. La riforma c’è, è stata presentata ieri mattina (ufficialmente) al Senato, è stata approvata dalla commissione Istruzione di Palazzo Madama, ha davanti a sé solamente gli ultimi, formalissimi, scogli (come il doppio passaggio, quello in Aula e quello alla Camera).

E il passo è davvero «storico», è davvero una rivoluzione, soprattutto se considerato che sì, d’accordo, il numero chiuso in realtà resta perché i posti in aula magna rimangono contingentati (vengono decisi, infatti, in base al fabbisogno che c’è, sentendo anche le Regioni che hanno voce in capitolo sulla questione), però no, non sarà quello attuale (verrà aumentato circa di 5mila unità, arrivando a 25mila totali) e, tra l’altro, di “infornata” proprio non si può parlare. L’abolizione del test di Medicina non è mica sinonimo di sforbiciata sulla qualità o (peggio ancora) sull’eccellenza delle nostre aule. Macché. «Investiamo nelle giuste aspirazioni dei nostri ragazzi ma garantiamo anche una preparazione di qualità attraverso un’offerta formativa d’eccellenza», specifica, giustamente, Bernini: da un lato i poli universitari italiani che (già) fanno il loro, dall’altro il nuovo sistema, che spazza via, è vero, le prove d’accesso epperò non è un liberi tutti, infatti le “sostituisce” coi primi esami sul libretto universitario. Nel senso: i risultati dei primi tre o quattro corsi (il numero esatto verrà indicato dal ministero più avanti: per il momento si sa che saranno «esami caratterizzanti», parola di ministro) creeranno una graduatoria nazionale e garantiranno, qui sì, l’accesso al secondo semestre accademico. Un filtro, insomma, ci sarà lo stesso (e per fortuna).

«Viene semplicemente abolito un test con domande schizofreniche», specifica Francesco Zaffini, Fratelli d’Italia, presidente della commissione Sanità del Senato, «con una valutazione estemporanea su risposte a crocette». Chi non dovesse (malauguratamente) “passare” di semestre potrà comunque utilizzare i crediti formativi acquisiti nei primi sei mesi di studio (matto e disperatissimo) universitario per iscriversi ad altri corsi di laurea, anche durante l’anno (in modo da non perdere nemmeno una settimana ché il mondo del lavoro è fatto di competitività e queste cose pesano). La riforma di Medicina ha come obiettivo quello di garantire una selezione più equa degli studenti. Si tratta di «una storica vittoria della Lega», commenta subito dopo l’annuncio il leader del Carroccio e vicepremier Matteo Salvini, «dal prossimo anno decideranno i voti e il merito».

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