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Gorizia, bandiere con la stella titina per strada: "Gesto squallido"

La provocazione di un'associazione e l'ira del Comune: "Gesto squallido"
di Lorenzo Cafarchio mercoledì 2 aprile 2025

3' di lettura

Profondo Friuli-Venezia Giulia, esattamente Gorizia. Sabato sera in corso Verdi i cittadini hanno alzato gli occhi al cielo e hanno visto apparire bandiere jugoslave con al centro la stella rossa. L’amministrazione comunale, peraltro di centrodestra, ha commentato: «Chiunque siano i provocatori, si qualificano da sé. È uno squallido gesto di sostegno a uno dei tre totalitarismi». Peccato che a queste latitudini uno dei tre totalitarismi, ovvero quello comunista, declinato a modo suo dal generale Tito, si è distinto per una spietata caccia agli italiani, spesso buttati nelle foibe. Il Piccolo, poi, ha chiarito che la responsabilità del gesto è dell’associazione Agorè, che sui propri canali social ha spiegato di aver esposto i vessilli a seguito di un «finissagge dell’ultima mostra» organizzata dallo stesso sodalizio goriziano.

Anzi, le cinque insegne cucite a mano di varie misure sarebbero state trovate in una scatola da scarpe e furono, forse, «esposte durante l’amministrazione della città da parte della Jugoslavia dal 1° maggio al 12 giugno 1945». Senza tanti giri di parole una vera e propria lacerazione della storia d’Italia sul confine orientale. La vicenda fa sobbalzare anche perché quest’anno Gorizia e Nova Gorica sono, insieme a Chemnitz (città natale di Karl Marx), le capitali transfrontaliere della cultura europea. Occasione che dovrebbe unire e far trovare punti di contatto tra Italia e Slovenia, invece mostra importanti lacune.

GOLIARDATA?
Sulla questione il senatore di Fratelli d’Italia Roberto Menia indica il bandolo della matassa: «Purtroppo noto che a Gorizia stiamo cedendo. L’operazione Goriza-Nova Gorica poteva essere un’opportunità e invece silenzia alcuni fatti, come questo, perché dobbiamo dire che tutto va bene. L’azione culturale è piena di limiti. Dalla parte slovena non si molla mai, mentre dalle nostre parti si molla sempre. Hanno detto che le bandiere esposte sono un’opera filologia. Ma Tito solo a Gorizia ha fatto più di mille morti». La voce del parlamentare diventa sempre più intensa. «Questo fatto è stato bollato come una goliardata, ma non possiamo far passare tutto in cavalleria. Qui abbiamo paesi che hanno modificato il proprio nome senza il bilinguismo, eppure nessuno se ne accorge. Gli esempi sono Pese diventato Pesek e San Dorligo della Valle tramutatosi in Dolina».

Luca Urizio, presidente della Lega Nazionale di Gorizia, è sulla stessa lunghezza d’onda di Menia: «Siamo città europea della cultura, ma siamo supini agli sloveni. Il comune ha realizzato un tabellone in cui accomuna Norma Cossetto alla partigiana Milojka Štrukelj, figlia di uno dei più importanti capi partigiani della zona, mettendole sullo stesso piano». Il luogo dove sono state espose le bandiere jugoslave è altamente simbolico. «Quell’edificio era il luogo del consiglio comunale. A pochi metri c’era la sede dell’AGI, che il 27 marzo 1946 portò in piazza oltre 30mila goriziani, capaci di spingere la commissione interalleata a far rimanere la città italiana contro la possibilità che diventasse jugoslava». L’istigazione scambiata con il pessimo gusto. «I confini sono delineati, ma quelli ideologici non sono stati superati. Anzi, i primi deportati da Gorizia dopo l’invasione slava furono due comunisti del CLN nel maggio del 1945. Qui non centra nulla essere comunisti o fascisti, Tito e i suoi si sono accaniti contro gli italiani».

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TORCICOLLO
L’assessore alla Difesa dell’ambiente, energia e sviluppo sostenibile del Friuli-Venezia Giulia, Fabio Scoccimarro, ci confida «che il secondo dopoguerra qui non è ancora finito. Lo dimostrano le scritte a caratteri cubitali in pietra recitanti la parola “Tito” a Trieste sul Monte Cocusso e a Gorizia sul Monte Sabotino. Il confine ideologico è più forte che mai e le bandiere jugoslave vanno in questa direzione. All’ex presidente sloveno Borut Pahor chiesi, insieme ai complimenti per l’atto di omaggio con il Presidente Mattarella ai martiri delle Foibe, di togliere le scritte per Tito e di sostituirle con una croce cristiana in modo da unire i nostri popoli. Ma la risposta è stata un silenzio imbarazzato». La storia è come il greto di un fiume: cambia, ma per qualcuno resta sempre uguale. Come per nove europarlamentari sloveni che hanno protestato, lo scorso febbraio, contro la mostra dedicata ai martiri delle Foibe esposta nelle sale dell’assemblea europea. Inoltre, all’interno del Parlamento sloveno viene rappresentata la storia della Jugoslavia e nella parte dedicata alla Venezia Giulia possiamo vedere un partigiano di Tito tra la bandiera slava e un carro armato calpestare un casco dei bersaglieri in piazza Unità d’Italia a Trieste. Cancellare è un orrore, ma le provocazioni sono utili solo quando superano in avanti la storia, non quando diventano un sadico torcicollo anti-nazionale.

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