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Garlasco è un caso politico

La tortuosa vicenda giudiziaria nata intorno al delitto fotografa la situazione in cui versa la nostra giustizia. E spiega la necessità di una profonda riforma
di Mario Sechi venerdì 23 maggio 2025

5' di lettura

Il caso Garlasco non è solo un tragico fatto di cronaca, un’opaca vicenda processuale, è anche e soprattutto un caso politico. C’è chi in queste ore accusa i giornalisti di fare troppo rumore sulla vicenda, ma in realtà il frastuono proviene dall’assordante silenzio delle istituzioni, del Parlamento, su una storia sconvolgente non solo sul piano emotivo, perché se quello che succede a Garlasco viene proiettato nella vita di tutti i giorni vuol dire che il nostro sistema giudiziario è nei guai seri e l’idea stessa di giustizia vacilla. Quale fiducia potrà mai avere l’uomo della strada di fronte a un processo che viene smontato pezzo dopo pezzo da un’altra indagine condotta da un magistrato, Fabio Napoleone, di indubbia esperienza.

Quando Scotland Yard aveva un problema, bussava a casa di Sherlock Holmes per cercare il filo rosso della storia che la polizia di Londra non riusciva a trovare. Quel genio che sgorgava dalla penna di Arthur Conan Doyle, distillava scienza e coscienza, logica e fantasia, ma nella testa di Sherlock la congettura alla fine diventava un inesorabile incastro di prove al quale il colpevole non poteva sfuggire. A Garlasco c’è tutto tranne Sherlock Holmes. La prima indagine oggi si rivela come un mostruoso casino e il Parlamento dovrebbe interrogarsi con urgenza su come sia stato possibile e come porvi rimedio. Da vecchio cronista ho alzato il telefono e fatto quattro chiacchiere con un paio di investigatori e un procuratore, ne è venuto fuori un quadretto che provo a riassumere in poche righe.

1) «Casi come questo ce ne saranno sempre di più. Fanno le indagini, procedono all’arresto, poi si dimenticano che esiste il processo, cioè il luogo dove dovrebbe formarsi la prova, qui la prova non c’è, hanno condannato Stasi e ora addirittura salta fuori di tutto»;

2) «Nelle primissime fasi delle indagini il pm avrebbe dovuto accertarsi della bontà del lavoro della sua polizia giudiziaria, ma a giudicare dalla miriade di elementi vecchi e nuovi che stanno emergendo questo lavoro che avrebbe dovuto fare il procuratore alla guida delle indagini è stato completamente saltato»;

3) «Chiunque abbia un po’ di esperienza pone una sola domanda: perché quelle tracce, quelle testimonianze vengono fuori oggi e non furono individuate nella prima inchiesta? Seguivano forse una teoria, perché nelle indagini non si seguono teorie, si cercano gli elementi, le prove che poi formeranno eventualmente il quadro, cioè la storia del delitto di Chiara Poggi»;

4) «Fabio Napoleone è un magistrato molto serio e se si è posto la questione di riaprire il caso, ha avuto coraggio e grande rispetto per la deontologia del magistrato. Per lui sarebbe stato molto comodo lasciar stare, trovare una giustificazione stilistica, ma si è assunto la responsabilità di riaprire l’inchiesta su Garlasco perché evidentemente ci sono elementi solidi per riaccendere un caso che non era mai stato chiuso davvero»;

5) «La politica è sorprendentemente silenziosa per due ragioni: c’è chi pensa che criticare quello che è successo nel processo su Garlasco sia fare un favore alla destra e sostenere indirettamente le sue riforme (dunque non conviene parlarne); c’è chi ritiene invece a destra che questo potrebbe disturbare il percorso della riforma del ministro Nordio e dunque meglio tacere. Ma Garlasco è invece la prova che di una riforma profonda c’è bisogno e non riguarda soltanto la separazione delle carriere (un magistrato incapace resta incapace anche se “separato”), questa storia di cattiva giustizia rivela molto di più»;

6) «Il nocciolo incandescente del caso Garlasco riguarda non solo il processo, ma quello che è avvenuto prima, la fase decisiva delle indagini e il delicatissimo rapporto tra il procuratore che le guida e il nucleo di polizia giudiziaria che procede all’investigazione. Dire che qualcosa è andato storto è un eufemismo (ricordo che lasciarono il gatto girare in casa, tra le macchie di sangue, mentre perfino le più elementari operazioni venivano completamente dimenticate, come quelle di prendere le impronte digitali di Chiara Poggi), qui è completamente mancato un rapporto equilibrato tra il procuratore e gli agenti che indagavano e le ipotesi sono solo due: o il procuratore dipendeva totalmente dalla polizia giudiziaria, o la polizia giudiziaria era teleguidata dal procuratore, oppure c’è un terzo caso, nessuno guidava nessuno e il risultato è stato il caos sulla scena del delitto. Cioè la prima causa del fallimento del processo»;

7) «La riforma della giustizia è una cosa concreta avrebbe dovuto prendere il caso Garlasco come un esempio da portare agli occhi dei cittadini per rafforzare l’idea di una riforma che serve a tutti. I politici parlano dei massimi sistemi, di una astratta separazione delle carriere, ma dimenticano il punto chiave che è prima di tutto l’indipendenza del pm dalla polizia giudiziaria, perché molti colleghi pensano di dirigere le indagini ma invece ne sono semplicemente diretti, così i pm perdono lucidità e quindi anche autonomia.  La polizia giudiziaria e il pm sono organi distinti che devono lavorare bene insieme, ma nessuno ne parla, sono tutti concentrati sulla magistratura e perdono di vista il lavoro dei nuclei di polizia giudiziaria. Come vengono formati, selezionati, valutati i principali collaboratori di chi guida le indagini. Sono coloro che materialmente dispongono pedinamenti, intercettazioni, controllano le comunicazioni, fanno i primi colloqui con i sospettati in occasioni diverse, addirittura quando ancora l’indagine è solo un’ipotesi. Ebbene, il buco nero di Garlasco è tutto qui, nell’incompetenza (nel migliore dei casi) o nell’innamoramento di una teoria che poi si è rivelata debole nella fase del processo. Qui ci sono profili che interessano l’azione della politica, il lavoro dei parlamentati, il Consiglio superiore della magistratura. Parliamo del rispetto delle norme deontologiche, questioni disciplinari, avanzamenti di carriera. Alla politica tutto questo non interessa?»;

8) «La domanda è se c’è un errore che deriva dal processo o se il fiasco deriva alla cattiva conduzione delle indagini. In quest’ultimo caso saremmo di fronte a un rapporto perverso tra il pm e la polizia giudiziaria, mentre nel primo a un cattivo lavoro di preparazione nel dibattimento. È probabile che le cose stiano insieme».

Ho raccolto così gli appunti delle mie conversazioni cercando di dare un ordine nel caos di una storia incredibile, ma quel che mi è chiaro è che questa vicenda apre un nuovo capitolo nella storia giudiziaria di questo paese, per l’impatto che ha sull’opinione pubblica e la cattiva immagine che proietta sullo Stato. Solo la politica non ha ancora capito che dopo Garlasco nel pianeta giustizia niente potrà essere più come prima.

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