C’è chi ha ritrattato, chi ha raccontato per sentito dire, chi avrebbe assistito a strani litigi, chi ha notato le luci di una casa insolitamente accese, chi ha trovato dei vestiti abbandonati e chi ha denunciato la scomparsa di un attrezzo da lavoro. Sono i testimoni che - subito dopo l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007 - hanno cercato di aiutare chi investigava, ma senza diventare determinanti per il processo che, dopo due sentenze di assoluzione, ha condannato a 16 anni di carcere (nel 2015) Alberto Stasi, l’ex fidanzato della vittima. Non sono stati presi in considerazione perché qualcuno ha cambiato idea, altri sono stati rimbalzati, altri ancora hanno portato prove che poi, analizzate dai Ris, non hanno fornito esiti interessanti. Ora però, che la nuova indagine punta a una pista alternativa, ha nel mirino Andrea Sempio e intende rivalutare tutto ciò che ai tempi era stato ignorato o aveva dato riscontri dubbi, anche i molti testimoni tornano d’attualità. E dimostrano che alla fine Garlasco, il paesotto da molti descritto come chiuso, complicato e riservato, non era poi così omertoso. Anzi.
Proprio pochi giorni dopo l’assassinio di Chiara, per esempio, un agricoltore e sua moglie trovarono nell’acqua di un canale vicino a Garlasco -, una borsa di plastica con dei «vestiti sporchi di rosso e griffati, c’era anche un paio di scarpe - ha ricordato in questi giorni la donna - Mi sono incuriosita e ho chiamato le forze dell’ordine». Negli atti si legge che questi indumenti erano stati sequestrati il 25 agosto ed erano due pantaloni, uno di jeans neri (taglia 36) e un pantalone beige marca “Marlboro”, un paio di leggins da donna e due canottiere. Sui primi due non era stata trovata nessuna traccia significativa, mentre sui leggins e sulle canottiere il luminol, che reagisce anche al ferro, aveva dato un esito positivo. Per quanto riguarda le scarpe marroni da uomo, invece, i Ris avevano scritto che erano «recanti varie tracce brunastre di dubbia natura» e che «sia le tracce di dubbia natura, sia quelle evidenziate dal luminol sono state testate con il combur test ed hanno reagito negativamente». Reperti, questi, che però ora non è possibile rianalizzare con le nuove tecnologie perché sono stati distrutti.
Nel tempo, poi, le testimonianze sono state molteplici, da quella di una vicina di casa della nonna di Chiara Poggi, che viveva a Groppello, secondo la quale le luci dell’abitazione la sera prima dell’omicidio erano accese (fatto confermato anche da altre due persone), anche se la nonna si trovava in una casa di riposo, Alberto nella villetta di Chiara e Marco, il fratello della vittima, soggiornava in Trentino con i genitori, a quella di Daniela Ferrari, la mamma di Andrea Sempio, che mesi fa aveva citato una presunta testimone che avrebbe assistito a un litigio tra Chiara e la cugina Stefania. Il primo testimone di tutti però, forse il più importante, era stato l’operaio Marco Muschitta, che si era presentato spontaneamente in procura 45 giorni dopo l’omicidio e tre giorni dopo il primissimo arresto di Alberto Stasi.
Davanti ai pm aveva spiegato di aver visto «una bicicletta» che «andava leggermente a zig zag come se il conducente avesse qualcosa di ingombrante nella mano destra». E che a pedalare, secondo lui, era Stefania Cappa, una delle due gemelle cugine di Chiara. A sorpresa, però aveva ritrattato tutto e per questo i giudici lo avevano ritenuto inaffidabile. Anche se però, poi, in una telefonata intercettata con il padre, il ragazzo aveva spiegato al genitore di aver «detto quello che ho visto». La versione di Muschitta, in realtà, non era poi tanto differente da quella fornita da Gianni Bruscagin, il famoso supertestimone de Le Iene”, il quale aveva spiegato che una signora, ormai deceduta, gli aveva detto di aver visto la gemella Stefania Cappa «nel panico» entrare nella vecchia casa di proprietà della nonna «con una borsa pesante». E che poi avrebbe sentito un tonfo, come se qualcuno avesse gettato qualcosa di pesante nel vicino canale. Ai tempi l’uomo, secondo quando dice, avrebbe detto tutto all’avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia Poggi, che «mi ha stoppato». Due mesi fa, allora, gli investigatori hanno organizzato una maxi ricerca nella roggia vicino alla casa e il risultato è stato il ritrovamento di una testa di una mazzetta da muratore, un attizzatoio da camino e la testa di un’ascia.
E a proposito della mazzetta da muratore, c’è un’altra testimonianza volontaria che risale a una settimana dopo il delitto. È quella di un artigiano edile di 33 anni che, con la sua impresa, stava lavorando alla ristrutturazione della sede della Croce Garlaschese. L’uomo spiegò ai militari che da un secchio da lavoro era sparita una mazzetta che teneva in un «garage adibito a ricovero delle autoambulanze di libero accesso agli addetti ai lavori ivi compresi i volontari». Un racconto cui ai tempi non fu dato peso, anche se chi indagava sapeva che, per esempio, tra i volontari della Croce Garlaschese c’era anche Stefania Cappa.