Fermi tutti: venerdì prossimo i sindacati fermeranno l’Italia non solo «per il salario», ma anche «per il disarmo» e «per la Palestina». L’appuntamento è doppio, in pratica: prima la paralisi generale, in primis sui trasporti (20 giugno), poi l’adunata di piazza - a Roma - «contro il riarmo e l’economia di guerra». Filo conduttore: l’ostilità nei confronti di Israele, che impegnerà, chissà quanto consapevolmente, i lavoratori che incroceranno le braccia per 24 ore.
Le motivazioni alla base dello sciopero generale si allargano «ai vari fronti aperti» sullo scenario internazionale, ufficializzano le sigle del sindacalismo di base, Cub e Usb. In realtà sulle piattaforme web dei gruppi che hanno aderito alle mobilitazioni, i due eventi erano già legati. Ad esempio sul quotidiano comunista on line Contropiano il vademecum prevedeva il 20 giugno l’adesione «allo sciopero generale dei sindacati conflittuali» e il 21 il corteo di piazza Vittorio Emanuele II. Fatto sta che ieri i sindacati di base hanno ufficializzato l’aggiornamento della piattaforma di rivendicazione. Ora accanto alla richiesta della «cessazione del conflitto in corso nella Striscia di Gaza e del conseguente massacro di civili», c’è anche l’attacco israeliano all’Iran. In una conferenza stampa andata in scena ieri in piazza della Scala, a Milano, Cub e Usb hanno rinnovato la richiesta all’Italia di «interrompere la collaborazione militare e di intelligence con Israele». Uno Stato, quello ebraico, «che continua il genocidio in Palestina e sta spingendo su una terrificante escalation internazionale».
Nel mirino c’è soprattutto Leonardo, l’ex Finmeccanica, l’azienda a controllo pubblico «che assembla e collauda i micidiali F-35», gli aerei «utilizzati, tra l’altro, per bombardare i civili palestinesi». Usb venerdì ha organizzato una serie di presidi davanti alle sedi di Leonardo di «Roma, Napoli, Torino, Firenze, Pisa e Catania».
Visto che la mobilitazione di venerdì dovrebbe avere al centro delle istanze il mondo del lavoro, vale la pena ricordare che in Italia il programma F-35 ha generato ricadute positive dal punto di vista dell’occupazione. Allo stabilimento di Cameri, il centro di produzione e supporto, sono impiegate direttamente circa 1.500 persone. Considerando l’indotto, si stiamo che siano altri 10mila i posti di lavoro favoriti dal programma militare. Le ricadute tecnologiche e industriali sono quantificate in circa 4,7 di euro, con ulteriori 1,6 miliardi frutto dell’attivazione dei siti. Ciononostante, i «sindacali conflittuali» denunciano «la corsa al riarmo», che con la «difesa comune europea e l’aumento della spesa per la Nato fino al 5% del Pil sta portando il nostro Paese al collasso».
Tornando alle proteste il giorno dello sciopero, a Genova ci sarà una marcia che partirà dal «porto, dove nei giorni scorsi ci si è mobilitati contro il traffico di armi destinate all’esercito israeliano». Quanto a Milano, ci sarà un corteo che partirà da piazza Fontana alle 9,30 per poi concludersi proprio in piazza della Scala. Anche in questo caso, accanto alle motivazioni sul lavoro - «il nostro compito è lottare per un lavoro degno, sicuro, garantito e retribuito», si legge nell’appello a scioperare «per Gaza» - ci sono le nuove, anti-israeliane, filo-palestinesi e filo-iraniane: «Scegliamo la parte degli aggrediti, fermiamo l’economia di guerra, denunciamo la pulizia etnica del governo sionista».