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Divieto di fumo in città? Un segno di decadenza

Vietare il fumo all’aperto è solo un passo verso l’obiettivo più ambizioso: sradicare, in una furia nichilistica, un comportamento o un’abitudine acquisita
di Corrado Ocone mercoledì 2 luglio 2025

3' di lettura

Per il momento le terrazze dei bar e ristoranti francesi si sono salvate, ma state certi che il ministro della Salute, Catherine Vautrin, non demorderà e continuerà la sua battaglia per “promuovere una generazione senza tabacco”. Vietare il fumo all’aperto, come da decreto legislativo di qualche giorno fa, è solo un passo verso l’obiettivo più ambizioso: sradicare, in una furia nichilistica, un comportamento o un’abitudine acquisita. E come dimenticare che in Italia c’era già stato chi come il sindaco di Milano Beppe Sala aveva non solo vietato il fumo all’aperto, ma anche stabilito la “distanza sociale” di 10 metri che i fumatori devono rispettare per non incorrere in salatissime multe. Intanto, infuria la polemica sull’efficacia di regole tanto severe. E anche sui danni effettivi che il fumo può arrecare. Nessuno però sembra porsi la domanda più radicale: questa curvatura salutista o terapeutica della politica non lede le basi stesse della democrazia e tradisce il senso più vero della politica?

L’omologa parigina di Sala, la socialista Anne Hidalgo, sembra non accorgersi nemmeno che, nel chiedere misure ancora più severe, si finisce per colpire l’identità stessa della sua città. Si, perché l’identità è fatta di tradizioni, ma anche e soprattutto di simboli, e cosa c’è di più iconico e caratteristico di Parigi che le nuvole di fumo che avvolgevano i tavoli dei suoi caffè? Attorno a quelle nuvole, nel quartiere di Saint-Germain-des-Près, si intrecciavano discussioni, si elaboravano teorie, si concepivano, nei decenni seguenti alla seconda guerra mondiale, battaglie politiche e civili. Erano per lo più intellettuali engagés 2 quelli che si incontravano al Cafè de Flore, odi fronte a Les deux Magots, o ancora a Le Procope. Ognuno di essi rappresentava una corrente intellettuale, un movimento di idee o opinione, una particolare filosofia. Molti di loro si atteggiavano ad anticonformisti anche quando forse conformisti nel senso snob del termine lo erano fino in fondo. Ma quegli intellettuali rappresentavano soprattutto uno stile di vita, anche per chi dall’Italia e da altre parti del mondo correva sulle rive della Senna a trovare ispirazione.

La sigaretta era prima di tutto l’oggettivazione simbolica del loro essere, della loro personalità. Ed anche un modo di riconoscersi, pur nelle loro spesso marcate differenze reciproche. Non disdegnavano perciò di farsi fotografare, in immagini che hanno fatto la storia e son rimaste nell’immaginario comune, con la sigaretta in bocca, sfrontatamente esibita. Che fine faranno quelle foto? O forse il neopuritanesimo bigotto del nuovo salutismo le ha già fatte togliere dalle mura in marmo che, insieme alle ampie vetrate, caratterizzavano quei caffè? Notizie in tal senso arrivano dalla Bibliotheque de France e da altre istituzioni, ove le foto dei protagonisti della cultura francese sono state sottoposte a photoshop per eliminare ogni accenno al fumo e non dare, si dice, il “cattivo esempio”. E pazienza che in molti di quei pensatori, scrittori, artisti, volevano essere “cattivi maestri”. E spesso ci riuscivano! Fumatore incallito era il più rappresentativo di loro, tanto intelligente quanto cinico, quel Jean Paul Sartre che non abbandonava mai la sua pipa.

Non da meno fumatrice di tutto rispetto era la sua compagna, Simone de Beauvoir, che forse anche in questo modo intendeva affermare la parità femminile e la dignità del “secondo sesso”. Ma anche Albert Camus, che di Sartre fu implacabile nemico sul terreno intellettuale, era indisgiungibile dalle sue Gitanes, sul cui pacchetto svettava l’immagine di una zingara danzante che finì qualche anno fa anch’essa sotto la scure del ministero della Salute perché trasmetteva un’immagine di gioia e non di morte come avrebbe dovuto essere. Quel mondo e quella Parigi non esistono più, e forse è giusto che sia così. Ma che li si voglia far sparire anche dal ricordo, edulcorandone la memoria, è un segno di decadenza e declino.

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