La vita non è un film dei Vanzina lo sappiamo tutti anche se ci siamo divertiti nei dialoghi e nelle battute di quelle pellicole. Soprattutto nelle Vacanze di Natale degli anni ’80. La superficialità di quel decennio ci ha lasciato, comunque, in dote un umorismo e una spensieratezza che questi tempi di suscettibilità non riescono più a tollerare. Gli esempi sono infiniti. L’ultimo in ordine di tempo arriva dalla Treccani. La nuova battaglia dell’enciclopedia- fondata a Roma il 18 febbraio di 100 anni fa da Giovanni Gentile, Calogero Tumminelli, Gian Alberto Blanc e Ugo Ojetti per citare alcuni nomi - ha trovato una nuova parola-nemico da cancellare e mettere all’indice dei vocaboli proibiti. Ovvero vu cumprà.
Lo vediamo già il vostro sorriso, rimanete seri. “Vu cumprà: un neologismo in via d’estinzione (?)” è l’articolo che ha richiesto ben più di 25mila battute a Rocco Luigi Nichil per inserirlo all’interno del progetto R&S - Ricerca e soccorso. Piccolo dizionario di parole migranti. Ci vogliono 19 minuti per leggerlo tutto. Vi risparmiamo la fatica e donandovi i momenti salienti. Tutto parte dal 1986 e dal suo «odio d’estate». La genesi del termine nel luglio di trentanove anni fa sulla costiera romagnola. Ci sono «le proteste dei commercianti locali» che lamentano un certo immobilismo «nei confronti dei venditori abusivi». Quest’ultimi imperversano e la gente inizia a chiamarli vu cumprà. Infatti la prima volta che questa parola compare sui giornali è firmata da Raffaella Candoli sul Resto del Carlino proprio nei giorni del mondiale messicano. Ecco dove, sembra dirci Nichil, abbiamo perso l’innocenza.
È chiaro che nessuno farà le barricate attorno al termine vu cumprà. Ma fare una mappatura di tutti gli articoli usciti attorno alla parola, la misurazione del quantitativo di volte in cui è stata utilizzata, il disegno della genesi e la schematizzazione dell’uso politico e sociale che ne viene fatto è oggettivamente troppo. Addirittura ci imbattiamo nella poesia del 1925 di Raffaele Viviani’O tripulino napulitano in cui possiamo leggere: «Chillo guarda, io un capisco / elle dico: Vuò cumprà?». Bisognerebbe tornare indietro nel tempo e vedere se la parola sciuscià vocabolo con cui venivano definiti i partenopei che lustravano le scarpe agli statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale - causò così tanti mal di pancia. A un certo punto compaiono anche le varianti vu spazzà, vu ubriacà, vu rubà e vu spaccià che si sono perse nel vento della lingua, per usare un immagine alta in una polemica che di impatto sulla realtà sembra aver ben poco. Sì, perché ora eliminando questo vocabolo dal lessico degli italiani ci immaginiamo che i “venditori senza regolare permesso di libera vendita di oggettistica” (chiediamo a Nichil possiamo scrivere ancora “venditori abusivi”?
) spariranno nel nulla. Tutti regolarizzati con licenza, durc, scia e scontrini. La magia del lessico che tutto può. Ansa nel dare la notizia sottolinea come il nomignolo sia stato usato «in perfetta par condicio da rappresentanti del Pci e dell’Msi». Maledette ideologie linguistiche.
Per chiudere Rocco Luigi Nichil precisa: «Ricostruire la storia di una parola come vu cumprà può forse apparire banale, ma contribuisce a restituire profondità alla storia, superando la convinzione che tutto ciò che conosciamo sia sempre esistito e sia destinato a rimanere per sempre». Grazie per averci salvato dal razzismo della lingua italiana, ma ora scusate torniamo ad ascoltare il brano di Bello FiGo Sembro Vucumprà (SwaG Lavoro Negro) Stai Li A non Vendere, una hit da 3.5 milioni di visualizzazioni su YouTube.