È in edicola lo speciale semestrale a colori di Tex Willer, il Color Tex da 160 pp. (Sergio Bonelli Editore semestrale n. 27, 9,90 euro), Trappola per Kit Willer, un’avventura che vede protagonista il figlio del ranger più famoso del Texas e della carta stampata.
COME IN UN FILM DI SERGIO LEONE
Nella storia, in particolare, troviamo atmosfere degne di un film di Sergio Leone, in particolare de Il buono, il brutto, il cattivo (1966): c’è un villain, Gordon Dagger, ispirato nelle fattezze a Lee Van Cleef, killer con la bizzarra abitudine, quale macabro marchio di fabbrica, di scavare una tomba preventiva, con tanto croce dotata di nome e cognome, a mo’ di sinistro avvertimento per la sua vittima, che sappia bene quel che la attende. Le atmosfere cimiteriali, da boot hill, rimandano, ovviamente, alla sequenza del cimitero di guerra nel film di Leone («il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola e chi scava»); aggiungiamo una banca zeppa d’oro da svaligiare e una banda di fuorilegge senza scrupoli, et voilà, l’intreccio, sceneggiato da Pasquale Ruju per i disegni di Roberto Diso, è pronto.
In quest’avventura, il figlio di Tex Willer, il giovane Kit, detto Piccolo Falco in lingua navajo, si troverà e sepolto vivo dal perfido Dagger, e riuscirà a salvarsi in un modo rocambolesco che ci ricorda la Sposa di Kill Bill. E quanto al padre, chi tocca Kit, notoriamente, dovrà vedersela con Tex, anche se qui il giovane riuscirà egregiamente ad avere ragione da sé di Dagger.
La conclusione, sbrigativa come la morale del vecchio West, dove non ci si perde in inutili smancerie, è la seguente: Dagger finisce sepolto nella tomba che aveva allestito per il giovane e impavido Kit, e il ragazzo afferma che il becchino dovrà solo cambiare il nome sulla croce, dato che «quel serpente gli ha risparmiato la fatica: la fossa se l'era già scavata da solo».
Dorothy Johnson, la donna che inventò il west
"Dunque, ho ucciso Liberty Valance. Fu la cosa più vicina a un grazie che osò mai dire. E fu allora c...70 ANNI DI SUCCESSI
Ciò detto, dovremmo forse chiederci come, nonostante la crisi generale dell’editoria, Tex Willer continui a piacerci e a rappresentare, da oltre settant’anni (venne creato da G. L. Bonelli e da A. Galleppini nel 1948), la “nostra” versione del western, in rigorosa salsa italica. Un tempo, negli anni Cinquanta e Sessanta, per chi viveva nell’Italietta del boom, quando erano ancora relativamente ridotte le possibilità di evasione (anche fisicamente intese, nel senso di viaggi all’estero, dati i costi proibitivi dei biglietti aerei), il Texas era solo quello di Tex. Non c’erano alternative, o quasi, se non sognare gli USA sulle pagine dei fumetti. Ma oggi, quando viaggiare e scoprire stati e continenti stranieri è ormai alla portata di molti, che cosa troviamo in Tex?
La scrivente stessa si è più volte interrogata in proposito: come mai una donna, appassionata di tacchi alti, giacche avvitate e rossetti, continua a leggere un fumetto ambientato nel lontano West, fatto di lunghe cavalcate, scazzottate e soste al saloon? Una prima risposta è che l’universo di Tex Willer, come, per altri versi, quello di Paperi e Topi nei fumetti Disney, è coerente con se stesso, sempre uguale e sempre riconoscibile, e la ripetitività, ce lo insegna la lunga serialità televisiva (ma pensiamo anche alle trame dei gialli dell’epoca d’oro, o ai romanzi con Maigret, e persino alle commedie di Plauto) è sempre un elemento rassicurante per il pubblico, quale che sia il medium narrativo (carta stampata, tv, teatro), tanto più in un tempo come il nostro, di veloci e destabilizzanti cambiamenti. E poi, il mondo di Tex è semplice, lineare: lui stesso rappresenta una figura maschile rassicurante, marmo rea e senza cedimenti; chi pensa, però, che non sia dotato di forti e profondi sentimenti, vada a rivedere in Sangue sulla pista (soggetto e sceneggiatura di G. Bonelli e disegni di V. Muzzi e A. Galleppini) le vignette in cui il nostro riabbraccia il figlio, scampato alla terribile «tortura dei bastoni».
Tex Willer, il nostro Clint Eastwood, un vero conservatore
Difficile contenere un mito nazionalpopolare munito di cappellaccio Stetson e colt 45 su cavallo rampante con sfondo la ...TERAPIA
Una immersione nell’universo di Tex è terapeutica, meglio di una seduta dallo psicologo: e il linguaggio è franco e colorito: il miglior appellativo per i nemici è coyotes; il delinquente perito in una sparatoria è andato «a spalare carbone per satanasso»; le amicizie sono salde e inimicizie e rivalità vengono risolte sbrigativamente, senza tante lungaggini diplomatiche; persino la cucina, nei fumetti di Tex, è terapeuticamente semplice: in luogo dei rovelli che attanagliano i concorrenti di Masterchef, e della scelta fra cucina fusion, molecolare e simili, il piatto che viene servito a Tex e Kit dopo una lunga cavalcata è, immancabilmente, una bistecca alta due dita e coperta di patate. Da bere, ovviamente, anche ai feriti e ai moribondi che invocano sollievo per la gola riarsa, rigorosamente whisky, e ben forte.
Come non adorare un mondo simile, fatto di incrollabili certezze e in cui, soprattutto, nel giro di qualche decina di pagine, il cattivo di turno, il killer, il corrotto, il traditore, vengono doverosamente e invariabilmente puniti e consegnati alla legge? Perché, ricordiamolo, Tex, a meno che non sia trascinato in uno scontro a fuoco, tiene sempre ad assicurare alla legge i colpevoli che cattura, non è un giustiziere indiscriminato. E se riuscite a riacchiapparlo in edicola, procuratevi Ben il Bugiardo, il “Texone” di grande formato edito in giugno (240 pp., 11 euro), una storia che potremmo riassumere così: le bugie hanno le gambe corte e il piombo nella carcassa. Non ve ne pentirete.