Una mossa senza precedenti scuote l’inchiesta sul delitto di Garlasco. Per smascherare quello che definiscono un possibile “sistema” di coperture e corruzioni, i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano hanno chiesto alla Procura di Brescia di applicare le norme antiterrorismo e di acquisire i tabulati telefonici e telematici degli ultimi sei annidi chi indagò sul caso, compreso l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti. Non più i due anni previsti per le indagini ordinarie, ma un arco temporale di 72 mesi, così da poter ricostruire l’intera rete di contatti e scambi. Una mossa che punta dritto al cuore dell’apparato investigativo e giudiziario pavese, già scosso da mesi di rivelazioni e sospetti.
L’ipotesi è dirompente: la prima archiviazione del 2017 dell’indagine su Andrea Sempio – oggi di nuovo indagato – potrebbe non essere stata un atto dovuto ma il risultato di un accordo occulto. Nel mirino non ci sono solo errori o omissioni, ma un presunto meccanismo di corruzione sistemica, un intreccio di rapporti e protezioni che avrebbe coinvolto ufficiali, investigatori e magistrati. Per questo i militari chiedono di attivare la normativa sulla “conservazione dei dati di traffico” introdotta nel 2017 per contrastare il terrorismo, che consente di operare “in deroga” alle regole sulla privacy. Negli ultimi tempi, nuovi elementi hanno aggravato il quadro.
Un’informativa della Guardia di Finanza ha segnalato flussi di denaro sospetti provenienti da Giuseppe Sempio, padre di Andrea, diretti – secondo gli inquirenti – non ai legali ma a terzi. Le somme, tra i 20 e i 30 mila euro, potrebbero essere state il corrispettivo di un intervento per favorire l’archiviazione. Nella stessa direzione va l’appunto trovato in casa Sempio con la dicitura “Venditti gip archivia × 20-30mila €”, che gli investigatori considerano un riscontro chiave.
Lunedì il Tribunale del Riesame di Brescia discuterà i sequestri di telefoni e computer disposti nei confronti di Venditti e del pm Pietro Paolo Mazza. La difesa dell’ex procuratore respinge ogni accusa: “Nessun denaro, nessuna promessa, solo una vita distrutta da sospetti e fughe di notizie”, sostengono i legali, denunciando un “processo mediatico parallelo”.
Ma per i carabinieri la portata dell’indagine giustifica misure straordinarie: l’obiettivo è verificare chi parlò con chi, e quando, nei momenti chiave del procedimento – dalla riapertura del 2017 fino all’ultima del 2024. Sul tavolo non c’è più soltanto la morte di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 nella sua casa di Garlasco, delitto per il quale è stato condannato a 16 anni Alberto Stasi, ma la tenuta stessa della giustizia locale. Il cosiddetto “sistema Pavia” – termine ormai ricorrente nelle carte – viene descritto come una rete di influenze e favori, in cui la linea tra indagine e complicità si sarebbe fatta sottile.
Se le ipotesi saranno confermate, il rischio è una crisi di fiducia senza precedenti tra cittadini e istituzioni.Gli investigatori parlano di “atto dovuto” e spiegano che l’uso delle norme antiterrorismo serve a evitare che i dati più vecchi vadano perduti. Dietro la procedura, però, si legge l’urgenza di un’operazione di verità: incrociare tabulati, numeri, conversazioni e decisioni, per capire se – e fino a che punto – ci sia stata una manipolazione consapevole delle indagini.
Il numero degli indagati, dunque, potrebbe aumentare nei prossimi giorni: gli inquirenti intendono verificare la posizione di altri militari e funzionari che presero parte alle indagini, per l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari. Un reato grave, punito con pene che arrivano fino a dodici anni di reclusione, e che – se confermato – configurerebbe non solo un caso giudiziario, ma un vulnus profondo nella fiducia verso le istituzioni. La Procura di Brescia procede in silenzio, ma la sensazione è che la vicenda non sia più solo un capitolo del delitto di Garlasco: è una prova generale della tenuta stessa dello Stato di diritto. Il quadro resta delicato e la gravità dei reati ipotizzati è alta: la corruzione in atti giudiziari, se confermata, dimostrerebbe come il controllo dello Stato sulle indagini possa essere stato compromesso da interessi personali o reti occulte.