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FdI, ecco la legge salva-poliziotti: armi da fuoco, cosa può cambiare

di Massimo Sanvito mercoledì 5 novembre 2025

3' di lettura

Mai più “atti dovuti”. Quei provvedimenti che scattano “a tutela” (così dicono i pm) di chi viene infilato nel registro degli indagati dopo aver ucciso per evidente legittima difesa, sono destinati ai cestini delle cancellerie. Si cambia, finalmente. La formula “omicidio colposo a seguito di eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi”, già di per sé contorta, sarà sciolta. Per legge.

Dal 25 giugno scorso- erano i giorni appena successivi all'uccisione di Michele Mastropietro, il bandito che nelle campagne brindisine aveva ammazzato a pistolettate il brigadiere dei carabinieri Carlo Legrottaglie, prima di essere colpito dal fuoco dei poliziotti giunti a supporto perla sua cattura e poi finiti sotto inchiestagiace tra i faldoni della Camera la proposta di Fratelli d'Italia (sarà presentata domani) firmata dai deputati Galeazzo Bignami, Giampiero Maiorano, Fabio Rampelli, Maria Carolina Varchi e Antonio Baldelli.

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L'obiettivo dichiarato è quello di «stoppare la gogna mediatica per chi agisce legittimamente». Perché se è vero che indagato non significa colpevole, è anche vero che vedersi mettere sullo stesso piano dei delinquenti a cui si dà la caccia è quantomeno grottesco. Per non parlare del fatto che il rimborso delle spese legali non è né scontato né integrale (è a discrezione dell'Avvocatura di Stato) anche nel caso si chiuda tutto con un proscioglimento.

Ma cosa cambierà con la nuova legge? Tutto ruota attorno all'articolo 335 del codice di procedura penale, che oggi impone al pm di «iscrivere immediatamente ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa». Si punta dunque a introdurre un passaggio preliminare, per consentire ai magistrati di verificare se esistono giustificazioni reali quali la legittima difesa, lo stato di necessità o l'adempimento di un dovere.

In pratica, al pm vengono concessi sette giorni di tempo per valutare se il fatto sia «effettivamente antigiuridico» o se rientri «in una delle ipotesi che escludono la punibilità». Se da questi accertamenti si prova che il comportamento dell'accusato sia stato legittimo, il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione. Al contrario scatta l'iscrizione nel registro degli indagati.

Tutto molto semplice, tutto molto di buon senso. «I recenti fatti di cronaca, ad esempio, relativi all'iscrizione nel registro degli indagati dei due agenti che hanno risposto al fuoco e neutralizzato l'aggressore del brigadiere Carlo Legrottaglie, rimasto ucciso, hanno evidenziato una falla nell'attuale sistema, come disciplinato dal codice di procedura penale», si legge nelle premesse del testo stilato dai deputati di Fratelli d'Italia.

E ancora: «L'automatismo procedurale espone l'iscritto a una vera e propria gogna mediatica e, soprattutto, a un ingiustificato calvario giudiziario, a maggior ragione nei casi in cui si tratti di reati in cui è coinvolto personale appartenente alle forze di polizia, per il quale l'iscrizione rappresenta un “atto dovuto” anche in relazione a fatti commessi nell'esercizio delle funzioni». La soluzione del passaggio intermedio tra “reato” e indagine permetterebbe infatti di bilanciare due esigenze fondamentali: da un lato il diritto di avvalersi di garanzie quali la nomina di un avvocato e la partecipazione in un momento chiave degli accertamenti tecnici; dall'altro l'interesse a tenersi alla larga dal registro degli indagati.

La discussione piomba all'ordine del giorno mentre la politica battaglia sulla riforma della giustizia in vista del referendum della prossima primavera. E va da sé che la proposta di legge di Fratelli d'Italia scatenerà le reazioni della sinistra. In tempi non sospetti - era inizio anno e il maresciallo dei carabinieri Luciano Masini aveva sparato, uccidendolo, a un egiziano che aveva appena accoltellato alcuni passanti a Villa Verucchio (Rimini) - il campo stretto progressista aveva gridato al Far West di fronte alle prime ipotesi di studiare norme utili a evitare l'automatismo del famoso “atto dovuto”. Si parlò, ovviamente a sproposito, di «scudo penale», come se per le forze dell'ordine aprire il fuoco fosse un divertimento e non l'unico modo possibile per salvare la pelle dei cittadini (oltre che la propria). Nei giorni scorsi il maresciallo Masini è stato scagionato dai giudici dopo dieci mesi di procedimento. E indovinate un po' il motivo? «È stata legittima difesa». Chi l'avrebbe mai detto...

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