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Lo stalker implora l'arresto: "Se non mi fermate io ucciderò mia moglie"

di Claudia Osmetti lunedì 10 novembre 2025

3' di lettura

«Se non mi arrestate uccido mia moglie». È venerdì pomeriggio, sono circa le 17.30, quando un uomo di 48 anni entra trafelato alla stazione dei carabinieri di Napoli Capodimonte. Forse è agitato, forse è in subbuglio, di certo ha alle spalle una vicenda di persecuzioni e minacce verso la donna con cui ha condiviso parte della vita e a cui ne ha fatte passare di ogni colore. «Sono andato sotto casa sua ma non c’era», dice agli agenti che lo ascoltano sempre più sbigottiti, «fermatemi».

Questa è una storia a lieto fine. È la storia di una violenza (per fortuna) mancata, di una situazione che poteva degenerare e non l’ha fatto, di uno stalker (grazie al cielo) che ha saputo farsi bloccare in tempo: è vero, la sua supplica in extremis non cancella due anni di vessazioni, non spazza via i mesi segnati da tensioni e manie ossessive, non rimuove il fatto che lei, dal 2023, abbia dovuto cambiare abitudini e pure orari al lavoro, che sia stata costretta a disfarsi del citofono e abbia dovuto richiedere una nuova utenza fissa per il telefono, che se lo sia ritrovato davanti in casa e nel negozio che gestisce, che sia stata perseguitata (lei e addirittura alcuni suoi famigliari) anche su internet, però lascia aperto un barlume di speranza.

E infatti il maresciallo di turno a cui si presenta il 48enne quasi non ci crede quando lo vede arrivare mezzo sconvolto (tra parentesi: la notte prima i suoi uomini sono accorsi sotto l’abitazione della signora perché lui ha inviato messaggi minatori al figlio di diciannove anni, se incontro tua madre «la faccio in mille pezzi», e, dato che non ha ricevuto riscontri, ha aggredito il ragazzo con la stampella che lo tiene in piedi): appena sente il suo appello accorato, il militare alza la cornetta. Cerca il numero della donna, la conosce, la chiama al telefono, ci parla e si tranquillizza: si tratta di una professionista della stessa età del marito, i due si sono separati legalmente solo da marzo, risponde. Sta bene. È tutto apposto. Non le è successo nulla. Sospiro di sollievo e, adesso, un solo problema: che fare con l’uomo.

Ci pensa la magistratura partenopea che, un po’ per via dell’inusuale richiesta, un po’ perché le minacce con cui il 48enne ha travolto la moglie non sono una sciocchezza, un po’ perché (soprattutto) sono reiterate e non è la prima volta, lo arresta. Siccome lui soffre di una problematica motoria non finisce direttamente in carcere ma viene trasferito in una struttura idonea, l’autorità giudiziaria farà il suo corso.

Sì, ma nel frattempo, cosa gli è scattato? Perché di atteggiamenti, qui, evidentemente, ce ne sono due: da un lato lo sa, se ne rende conto, che tartassare in quel modo la sua ex partner è sbagliato, è eccessivo, è inopportuno e anche illegale; ma dall’altra è come se non potesse farne a meno, come se non riuscisse a smettere di “capitare” alla sua porta per importunarla. Generalizzare è sempre sbagliato, in ogni campo e persino in quello della cronaca nera, perché ogni vicenda è a sé e, per quanto possano essere ricorrenti, non ci sono schemi universalmente infallibili. Tuttavia, in un certo senso, è la caratteristica dello stalker tipo.

«Una richiesta del genere può essere interpretata come il tentativo estremo di fermarsi, possiamo definirla un ultimo grido di aiuto», spiega il criminologo ed esperto di psicologia giuridica Marco Pingitore, «ma potrebbe anche essere collegata alla dinamica del controllo che è un tratto fondamentale dei casi di femminicidio il quale, in questo frangente, vivaiddio, è scongiurato». È come se il 48enne, mettendo le forze dell’ordine di fronte a un aut-aut e chiedendo un loro intervento, cercasse disperatamente di controllare la situazione e, di conseguenza, di controllare il suo essere fuori controllo: è un giro di parole, ma centra un punto.

«Le dinamiche dello stalking ruotano attorno al potere, alla percezione del proprio riconoscimento che avviene anche se la vittima ha paura, se mi denuncia, perché così mi dà rilevanza, seppur in maniera disfunzionale. Una famosa frase della criminologia dice “se vuoi che qualcuno si prenda carico di te commetti reati”, il che è paradossale però poi è quello che avviene». Per Pingitore, infine, un comportamento analogo può essere avvertito «anche come “positivo”: diventa visibilità, magari finisce sui giornali, si trasforma in un gesto noto non per aver commesso un crimine, ma per aver fatto qualcosa che, al contrario, lo ha evitato. È un riconoscimento anche questo».

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