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I sindacati in crisi e senza leadership scioperano ancora: paga solo il cittadino

Lo "stop" di oggi, a ridosso delle ferie natalizie, porterà disagi e danni agli italiani. Ma il danno maggiore lo recerà ancora una volta all’immagine del sigla, alla sua storia e alla sua tradizione
di Corrado Ocone venerdì 12 dicembre 2025

3' di lettura

Un tempo lo sciopero era una cosa seria. E a maggior ragione lo era lo sciopero generale. Venivano indetti entrambi, il secondo più del primo, solo in casi eccezionali e per motivi solidi e ben precisi. Anche chi non era interessato in prima persona alle rivendicazioni portate avanti, sopportava i sacrifici che gliene derivavano e rispettava i sindacati, necessario elemento di una sana vita democratica. La proliferazione degli scioperi a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo, la genericità demagogica dei motivi per cui sono stati convocati, ha indubbiamente fatto perdere ad essi, presso l’opinione pubblica, quell’aura di rispettabilità. E sono davvero in pochi oggi coloro che si trattengono dall’inveire contro gli scioperanti. A soffrire di questa situazione è proprio il diritto di sciopero, che è costituzionalmente garantito e che oggi in molti vorrebbero limitato o addirittura abolito.

E a soffrirne sono i sindacati, la cui credibilità non era mai stata così bassa come quella attestata dagli ultimi sondaggi. Il problema è sicuramente delle attuali leadership sindacali, le quali hanno sostituito la ragion propria di ogni associazione dei lavoratori, cioè il miglioramento salariale e la difesa del lavoro, con il perseguimento di obiettivi politici generali quali possono essere la caduta di un governo o la creazione di un clima di “rivolta sociale” nel Paese (per utilizzare la mai sconfessata affermazione di Maurizio Landini, il segretario del maggior sindacato italiano, quella Cgil i cui iscritti sono oggi per lo più pensionati). Prendiamo lo sciopero generale di oggi. Dopo tanti scioperi indetti per motivi del tutto estrinseci quali possono essere quelli legati alle guerre nel mondo o al riconoscimento della causa palestinese, esso ha di mira un tema economico: la legge di bilancio in discussione in parlamento. La quale però viene definita una “manovra di austerità” in modo vago e generico e, soprattutto, senza che vengano proposte soluzioni realistiche per non farla essere tale, ammesso e non concesso che lo sia.

Soluzioni che, per essere tali, dovrebbero tener presenti due elementi: da una parte, il quadro complessivo di finanza pubblica entro cui il governo è costretto a muoversi, e, dall’altra, le prevedibili conseguenze di una manovra diversa, cioè meno “austera” e più generosa. Certo, si poteva concepire una manovra che ci indebitasse ulteriormente, ma state sicuri che le spese maggiori le avrebbero prima o poi sopportate gli stessi lavoratori. In ultima analisi, chi se non i più deboli pagherebbero un eventuale aumento degli interessi sul debito pubblico, la scarsa fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia, la crescita dello spread, e via dicendo? Un sindacato rispettabile dovrebbe dirle queste cose, parlare con chiarezza ai suoi iscritti, non utilizzarli strumentalmente per altri fini. Un sindacato che proprio per questo possa essere credibile e rispettato da tutta la società. Un sindacato del genere non solo è possibile, ma è stata la norma nella storia del nostro Paese. Ed è proprio la Cgil che ha dato esempi storici di leader, da Di Vittorio a Lama, che, proprio per l’alto senso di responsabilità dimostrato in diverse occasioni, hanno non poco contribuito alla crescita economica e civile dell’Italia. Lo sciopero generale di oggi, a ridosso delle ferie natalizie, porterà disagi e danni agli italiani, ma il danno maggiore lo porterà ancora una volta all’immagine del sindacato, alla sua storia e alla sua tradizione. In quanti se ne rendono conto, anche e soprattutto a sinistra?

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