Non è ancora detta l’ultima parola. Mettiamola così, che è anche quel periodo dell’anno in cui siamo tutti più propensi a sperare nei “miracoli”. La Corte d’Appello dell’Aquila ha appena rigettato il ricorso dei Birmingham-Trevallion: sì, sarà una settimana difficile per la “famiglia del bosco” e sì, ogni mezza notizia che rimbalza sui social e nei tigì fa pensare che il Natale, loro, lo trascorreranno disgiunti, al massimo assieme però nella struttura protetta di Vasto dove restano i piccoli con la possibilità di vedere mamma Cate solo durante i pasti, eppure no, la certezza granitica, ufficiale, bollata non c’è ancora. Forse vale la pena iniziare da qui, da quel cavillo che tanto cavillo non è e che si riassume in poche semplici parole: la Corte d’appello non è il Tribunale dei Minori, il caso del ricorso non è quello dell’allontanamento.
C’entrano, certo. Sono connessi, sono il primo l’effetto del secondo. Ma sono due procedimenti differenti, paralleli, discussi davanti a due consessi di giudici differenti e che, questo sì, questo per forza, potevano finire diversamente. Poteva esserci più buonsenso, più ragionevolezza. Poteva essere valutata con maggior peso la disponibilità, la volontà a sistemare le cose che soprattutto babbo Nathan ha dimostrato nelle ultime settimane. Si sarebbe potuta trattare, questa vicenda infinita che è diventata chiacchiericcio e polemica, pettegolezzo e diatriba persino politica, in tempi molto più celeri.
E invece niente. Venerdì 19 dicembre, più o meno a ora di pranzo. Sei giorni esatti a Natale, con di mezzo (tuttavia) un week-end e la Vigilia (tradotto: dì lavorativi per prendere una decisione, adesso, ce ne sono davvero pochini). Poche righe battute dalle agenzie e riassunte nell’espressione di Nathan Trevallion di qualche ora prima. Vuoi la scaramanzia o il presentimento. Era arrivato alla casa famiglia di Vasto, papà Nathan, col suo furgone Kangoo e il giaccone marrone. Si era messo a giocare sull’altalena coi suoi tre figli di sei e otto anni, aveva lo sguardo teso (secondo chi l’ha incrociato). Dopo un quarto d’ora le responsabili del centro gli hanno fatto cenno di rientrare, si stavano ammassando troppi curiosi.
Eccola lì, l’ultima “fotografia” dei Birmingham-Trevallion. Qualche ora più tardi, ieri, il loro ricorso contro la sospensione della potestà genitoriale verrà stralciato («Prima della decisione della Corte ho inviato a Nathan un messaggio in cui esprimevo fiducia per la situazione», commenta Armando Carusi, il ristoratore di Ortona che ha offerto alla “famiglia del bosco” una casa alternativa durante i lavori di ristrutturazione a Palmoli, «lui mi ha risposto: “Speriamo”. Fino a quando non arriva Natale io ci spero»). Non servono a niente le memorie e la documentazione presentata dagli avvocati; non è bastato cambiare atteggiamento, provare a essere più accondiscendenti accettando (per esempio) di adeguare il casolare nel Teatino e consentendo ai piccoli di completare il proprio ciclo di vaccinazione o di studiare a casa con un’insegnante esterna; non portano frutti il tam-tam mediatico, gli appelli delle personalità dello spettacolo, l’eco creatasi sui social network. Per ora, per il momento, d’accordo le dita incrociate e il desidero ma tocca anche confrontarsi con la realtà, non cambia nulla.
«Non la definirei in alcun modo una bocciatura», spiega meglio Danila Solinas che rappresenta in sede legale la “famiglia nel bosco”: «La lettura della sentenza dice tutt’altro. Dice esattamente quello che ci aspettavamo e che poi sarebbe capitato. La Corte d’Appello doveva semplicemente limitarsi a dire se al tempo, cioè quando era stata emessa l’ordinanza, c’erano i presupposti perché si potesse fare oppure no. Insomma, se vi erano i presupposti formali per la sua applicazione. La Corte, così come fa nel 70 per cento dei casi, ha detto che effettivamente c’erano questi presupposti. Ovvero, non ha ravvisato delle lacune macroscopiche tali da determinare il rigetto».
Adesso, quindi, la partita si gioca su un altro piano e, di fatto, in un’altra aula: quella dove tutto è iniziato oramai un mese fa, quella in cui la riserva è stata annunciata il 4 dicembre (sono trascorsi sedici giorni di incertezza), quella che pure dovrà pronunciarsi su questo benedetto ricongiungimento familiare. Quella del Tribunale dei Minori dell’Abruzzo. «Sempre nel corpo della sentenza», fa notare Solinas e non è un passaggio irrilevante, «si dice che sono stati tali e tanti i progressi»: «Sarà il tribunale per i minorenni a decidere e a valutarli nella giusta misura. Non è necessario che ci sia un’udienza, potrebbe decidere in qualsiasi momento». Di tempo perso, che poi è il tempo di tre bambini i quali colpe (di certo) non ne hanno e che sono stati allontanati dai loro genitori, dal loro cavallo Lee e dall’asino Gallipoli, da quella vita originale, in mezzo alla natura, per loro libera e serena, ne è passato fin troppo.