Il 7 ottobre, nell’inchiesta di Genova, non è una data simbolica ma una sorta di dichiarazione di guerra. «Toufan al Aqsa, 7 ottobre 2023, è stato l’inizio della liberazione. Noi adesso siamo sulla strada della liberazione...». La frase non arriva da un comizio né da un post social, ma da una conversazione intercettata. A pronunciarla è Ra'Ed Hussny Mousa Dawoud, uno degli arrestati, noto col soprannome di Abu Falastine. Lo dice a due interlocutori algerini nell’ottobre successivo all’attacco. Per gli inquirenti è uno degli elementi che certificano l’adesione piena, non solo ideologica ma funzionale, all’organizzazione.
Un’adesione risalente nel tempo. Abu Falastine la racconta lui stesso riferendo di un incontro avuto anni prima con Ismail Haniyeh, allora capo di Hamas, quando gli avrebbe manifestato l’intenzione di rientrare a Gaza e diventare un combattente. Allora, sostiene Falastine, fu fermato con queste parole: «Sì, giuro mi ha detto: “Gira il tuo volto... ma a Gaza mancano uomini? Anche se io volessi mandare 100 persone in Italia, non sarebbero capaci a rimpiazzarti”». Per la Procura il senso è chiaro: meglio i dollari che il fucile.
I riscontri documentali, secondo gli investigatori, rafforzano questa lettura. Sul server dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese viene rinvenuto l’opuscolo Hamas in Europe, contenente una fotografia di Abu Falastine accanto al leader dei Fratelli musulmani Al-Khardoui. Nello stesso archivio informatico compare un video a lui attribuito che mostra i tunnel sotterranei sotto Gaza. E ancora: un documento della sicurezza interna di Hamas lo indicherebbe come riferimento del «centro» in Italia. Non materiale occasionale, ma tracce che, perla Dda, disegnano un ruolo stabile e riconosciuto.
Il capitolo decisivo resta quello del denaro. Contante. Flussi ripetuti. Trasporti organizzati. Secondo le carte, Abu Falastine si sarebbe occupato anche della logistica per il trasferimento dei fondi verso la Palestina, spesso raccolti cash. Adel Ibrahim Salameh Abu Rawa, indicato come referente per le donazioni nel Nord Est, è uno snodo chiave. Le consegne hanno date, luoghi e cifre precise.
L’11 febbraio 2024, a Milano, consegna uno zaino con 180mila euro. L’11 aprile 2024, al casello di Lodi, passa 250mila euro a Yaser Elasaly. Il 20 giugno dello stesso anno, altri 180mila euro. E quando Abu Rawa valuta l’ipotesi di trascorrere qualche mese in Gran Bretagna, Mohammad Hannoun ammette che lui, in pochi mesi, ha raccolto più di altri in anni. La risposta è diretta e non lascia margini: «Sì», ammette Abu Rawa, «senza contare quelli del Pos e altre cose, sono arrivati quasi un milione 900mila euro”. Una cifra che, per la Procura, segna il salto di scala dell’attività e la sua piena efficienza operativa.