Lavoro: allarme workhaolism, 3 giovani su 10 lavorano perfino in bagno
Milano, 13 mar. (Labitalia) - Uno studio americano pubblicato su 'Forbes' spiega che il 66% dei nativi digitali ha ammesso di sentirsi affetto da 'workhaolism', termine coniato nel 1971 dal ministro e psicologo Wayne Oates, che indica la compulsione o l'incontrollabile necessità di lavorare incessantemente. Dalla ricerca è emerso anche che il 63% dei millennials ha rivelato di essere produttivo anche in condizioni di malattia, il 32% di lavorare addirittura in bagno e il 70% di rimanere attivo persino nel weekend. E ancora, secondo un sondaggio pubblicato su 'Washington Examiner', il 39% dei nativi digitali sarebbe disposto a lavorare perfino in vacanza, all'interno di una vera e propria 'workcation'. “Nei geni dei giovani digitali -spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia, che ha affiancato grandi imprenditori e professionisti- è insita l'attitudine all'utilizzo di ogni apparato tecnologico che permetta una connessione al mondo, senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio e dalla propria casa. Ciò comporta un cambiamento della percezione del tempo e uno stato di trance che li fa diventare incoscienti. Me lo raccontano spesso i genitori dei ragazzi, facendo un amaro confronto con la generazione precedente”. Dunque, dilatarsi del tempo dedicato al lavoro e l'assottigliarsi delle ore di libertà sono diventati temi sempre più critici, soprattutto per la generazione dei millennials, cresciuta in un'epoca che ha visto aggiungersi a questi problemi l'egemonia della tecnologia e la costante presenza sui social network durante la giornata. “La pressione del capo, la paura di non riuscire a fare carriera, il forte desiderio di avere successo dal punto di vista professionale -prosegue Osnaghi- e quindi lavorare sodo per sfondare: sono numerosi gli stimoli che possono impattare sulla scarsa capacità di mettere un limite ordinato alla propria esistenza. La generazione dei millennials dimostra molta più preoccupazione verso il futuro rispetto alla precedente, soprattutto a causa della ricerca dell'indipendenza economica, del desiderio di una famiglia da formare e poi mantenere, e dell'ansia di dover essere più bravi degli altri. Ne consegue che le abitudini di lavoro sono diventate una gabbia in cui perdersi e i confini etici che proteggono la vita privata sono andati via via affievolendosi”. Secondo uno studio condotto da Cecilie Andreassen, professoressa di psicologia all'Università di Bergen, e pubblicato su 'Psychology Today', i sintomi più comuni derivati dalla dipendenza dal lavoro sono depressione, ansia, insonnia e aumento di peso. Pensiero condiviso anche dalla psicoterapeuta Amy Morin, che nel suo bestseller internazionale '13 Things Mentally Strong People Don't Do' ha evidenziato come il 42% dei millennials che lavorano intensamente più di 9 ore al giorno e rimangono costantemente attaccati allo schermo del pc ha avuto riscontri negativi sulla propria salute mentale, andando a peggiorare le relazioni sociali con amici, parenti e il proprio partner. Ecco, dunque, il decalogo di Marina Osnaghi per imparare a superare la dipendenza eccessiva dal lavoro: 1) perseguire un equilibrio consapevole fra i vari aspetti della vita; 2) trovare un mentore che possa trasferire la sua esperienza e fornire saggi consigli; 3) trasmettere linee guida di vita sana; 4) prendere come esempio qualcuno che abbia il giusto equilibrio di vita personale e professionale; 5) ricordarsi che la qualità della vita è un bene insostituibile; 6) Osservare se stessi e l'ambiente circostante, imparando a prendere una meritata pausa dal lavoro; 7) stilare un elenco delle attività extra lavorative preferite a cui dedicare più tempo; 8) fissare un obbiettivo legato al proprio benessere psicofisico e mantenerlo; 9) ricordarsi di vivere anche per se stessi; 10) rivedere la strategia con la quale vengono affrontate le giornate lavorative, cercando di capire cosa cambiare per migliore la qualità della propria vita.