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E' iniziata nel '98 la vera rivoluzione

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La storia di Gi Group coincide con i grandi cambiamenti che hanno ridisegnato il settore

Eleonora Crisafulli
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Febbario 1998, all'alba della legge Treu: quello che adesso è l'amministratore delegato di Gi Group corre a Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano, a sistemare un computer per rendere operativa una filiale. Nelle stesse zone e nelle stesse ore quello che adesso è un direttore operativo del  gruppo, per districarsi tra gli ostacoli normativi, diventa esperto nell'identificare mansioni "extra-ordinarie" che giustifichino il lavoro interinale in azienda. E poi volantinaggi alle feste di paese o sedi già aperte, ma ancora in costruzione.  È cominciata  anche così, nel 1998 - ma sembra  un secolo fa -  la “rivoluzione” che ha portato in Italia il lavoro in outsourcing. «In realtà c'è stata una lunghissima gestazione e attesa per questo  cambiamento - spiega Stefano Colli-Lanzi - e la condanna dell'Unione europea ha permesso che alla fine si facesse: da un giorno all'altro si è partiti per davvero». L'esperienza all'estero e il partner francese - ai tempi il gruppo si chiamava Generale Industrielle - ha sicuramente aiutato a “leggere” gli sviluppi nel medio e lungo periodo, tenendo duro anche nella fase di start-up. Che non è stata semplice: la legge Treu del '97 prevedeva infatti questo tipo di contratto in tre casi: per sostituzioni di lavoratori assenti; per mansioni extra-ordinarie rispetto alle funzioni e ai ruoli normalmente presenti in azienda;  e infine - questo il punto cruciale - per motivazioni individuate dai contratti collettivi.  Che tardavano ad arrivare. C'è voluto quasi un anno dal via libera alla legge perché l'accordo interconfederale tra Cgil, Cisl e Uil,  e Confindustria rendesse la norma completamente operativa. E intanto ci si è dovuti organizzare come si poteva, cercando di conquistare quote di mercato e di farsi conoscere, guadagnando la fiducia di imprese e candidati. I gruppi più grandi, controllati da proprietà estera, hanno puntato tutto sulla conquista iniziale del mercato, aprendo moltissime sedi già nel primo anno di attività.  Gi Group invece ha scelto una strategia più prudente: il primo anno erano in tutto 14 persone, c'erano cinque filiali in quattro Regioni, ma poi la crescita è stata progressiva e duratura, soprattutto dal 2000 in avanti. Per un amministratore delegato che si presta al ruolo di tecnico dei computer, la filiale di un altro gruppo apre anche senza che ci siano i vetri e per due giorni il contatto diretto con il pubblico è garantito de facto.  E se ora c'è una procedura ben definita di selezione e recruiting, agli inizi ci si affidava anche alle fiere di paese o al  volantinaggio - nel parcheggio di un grande centro commerciale - per trovare tutti i candidati che un grande gruppo vuole assumere. Già, perché le aziende erano pronte a questo cambiamento, lo auspicavano da tempo: «L'esigenza di flessibilità c'era già  - continua Colli-Lanzi - ma in assenza di una normativa adeguata si utilizzava una pletora di strumenti palliativi e inadeguati». Quello che  è visto da alcuni come “l'inizio della  fine” del posto fisso e del lavoro garantito, ha rappresentato in realtà una maggior regolamentazione e tutela di forme contrattuali più flessibili già esistenti. E ha permesso a molte aziende di esternalizzare i costi della gestione del personale - dalla ricerca e selezione alle buste paga - avvalendosi della consulenza e del servizio delle agenzie per il lavoro.  Ma anche i candidati - che all'inizio confondevano le agenzie per il lavoro con cooperative,  e analizzavano con un misto di curiosità e perplessità gli annunci  - hanno imparato ad apprezzare questo servizio, che spesso  permette loro il primo passo nel mondo del lavoro.

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