Orari più flessibili e asili in azienda. Le mamme al lavoro si aiutano così
Il ministro Mara Carfagna spiega il piano da 40 milioni appena approvato
di Giulia Cazzaniga - Pensione a 65 anni anche per le donne, è l'Europa che ce lo chiede. Una misura che alcuni hanno definito “scomoda”, ma che per il ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, è così ostica da recepire in Italia per «un ritardo storico». «Non è l'Europa che corre», dice infatti il ministro a Libero, «ma è il nostro Paese che ha accumulato incertezze e ritardi rispetto agli altri Paesi nei servizi per l'infanzia e di conseguenza nelle classifiche dell'occupazione femminile». «È per questa ragione che nel secondo anno di governo ho voluto che investissimo quasi tutte le risorse disponibili per colmare questo gap con misure a favore delle donne che lavorano». Ministro, perché tanta resistenza nell'opinione pubblica e delle parti sociali sul tema per esempio dell'innalzamento dell'età pensionabile per le donne? Ci saranno dei vantaggi, nell'adeguarsi all'Europa? «Ho sempre pensato che l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego fosse, oltre che un dovere imposto dall'Europa, una risorsa. E va detto che, nel percorso verso la piena attuazione delle pari opportunità, l'Europa è – ed è sempre stata – guida, esempio e stimolo per la legislazione del nostro Paese. La cosa che mi interessa di più, perché non si possa parlare di una misura “contro le donne”, è che i fondi liberati da questo innalzamento, che certamente costringono alcune donne prossime alla pensione ad un sacrificio, restino alle donne, servano, cioè, a finanziare servizi che rendano meno difficili i percorsi professionali delle più giovani». Ma come, concretamente? «Il piano di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che abbiamo appena approvato è di ben 40 milioni di euro e servirà a realizzare sul territorio servizi di sostegno all'infanzia e alle famiglie: diffusione della tagesmutter, cioè la baby sitter di condominio, incremento o creazione di asili nido, telelavoro o part-time per le mamme, reinserimento delle donne dopo il congedo di maternità, erogazione di voucher per i meno abbienti». Il mondo del lavoro attraversa una grave crisi. Cosa vuol dire, oggi, occuparsi di pari opportunità? Quali sono - se ci sono -le opportunità e soprattutto quando vengono non equamente distribuite? «Le difficoltà nel mondo del lavoro oggi le hanno tutti, uomini, donne e soprattutto i giovani. La priorità è superare questo terribile momento e tutto quello che consegue all'onda lunga della crisi. In merito, può sembrare inopportuno adesso occuparsi di parità tra i sessi, ma, al contrario, questo comporta solo benefici per l'economia. È provato che più è alto il tasso di occupazione femminile, più cresce il Prodotto interno lordo. Quindi, dare alle donne gli strumenti per poter organizzare al meglio vita privata e lavorativa, vuol dire permettere loro di non lasciare il posto di lavoro, di fare carriera e di contribuire alla crescita del Paese. E risulta anche che, dove ci sono le donne, salgono i fatturati e la produttività delle imprese. Certo, c'è ancora molta strada da fare e siamo molto indietro come presenza nelle posizioni di vertice: le donne dirigenti in Italia sono il 13 per cento, mentre quelle nei consigli d'amministrazione solo il 6 per cento». Conciliazione: le aziende cominciano ad essere più sensibili? «Lo diventeranno. Accogliendo la Direttiva 54, il Consiglio dei ministri ha introdotto nel nostro ordinamento sanzioni severissime per quei datori di lavoro che insistono nell'applicare in ufficio, in azienda, in fabbrica, trattamenti discriminatori nei confronti delle donne. Ora ci sono maggiori garanzie per la maternità, contro la disparità delle retribuzioni, contro prassi e comportamenti che ostacolano il cammino di una donna verso la “stanza dei bottoni” e così via. Pensi che fino a pochi mesi fa la multa era di 500 euro, ora si può arrivare a 50mila e sei mesi di reclusione». Donne e lavoro è quindi ancora un binomio in contraddizione? «Le donne fanno i salti mortali per gestire lavoro e famiglia. Questo oggi è ancora un problema non risolto. Vanno dunque potenziati i servizi e, come ho detto, lo stiamo facendo, seppur in un momento di crisi, dove i soldi a disposizione sono pochi per tutti. Poi, certamente, esiste un ritardo culturale, soprattutto in alcune zone del Paese. Ma sono sicura che anche questo problema è in via di soluzione perché le donne stanno emergendo in ogni settore, nella politica, nell'economia, nel sociale. È un processo inarrestabile e che avrà riflessi nella nostra società». Qual è il suo modello ideale in Europa? A quale paese l'Italia dovrebbe guardare? «Il miglior modello è certamente quello svedese. La Svezia ha un welfare perfettamente ritagliato sulle esigenze della famiglia e, in particolare, dei più piccoli. Ma, certo, non si costruisce un welfare alla svedese in due anni, senza avere a disposizione tantissimi soldi. Si può certamente pensare di importare, con gradualità, quelle misure che, nel resto dell'Europa, hanno funzionato bene». Per esempio? «È ciò che abbiamo fatto con la figura della tagesmutter, la “mamma a domicilio” o “baby sitter di condominio”. Molto diffusa in Germania, è una baby sitter professionale, adeguatamente formata, alla quale affidare massimo 5 bambini da 0 a tre anni, che opera dentro il condominio o nelle vicinanze. Per la sua introduzione abbiamo investito dieci milioni di euro, le prime cooperative di tagesmutter stanno nascendo soprattutto nel Nord Italia». Italia 2020: un progetto lanciato a inizio anno con Maurizio Sacconi per aumentare il numero delle donne che lavorano. Si può già fare un primo bilancio? « Il piano è stato appena presentato, entro fine anno contiamo di dargli piena applicazione. Già sono partiti i primi progetti che riguardano soprattutto i servizi per l'infanzia ma, oltre allo sviluppo dei servizi di cura, ci impegneremo per introdurre una maggiore flessibilità dell'orario di lavoro. Sono anche previsti aiuti economici e fiscali all'occupazione femminile nel Sud, anche attraverso il finanziamento dell'imprenditoria femminile. Bisogna inoltre operare per favorire la qualità del lavoro femminile: la crescita delle occupate è importante, ma va incoraggiata anche la progressione di carriera delle donne fino ai centri decisionali». Le pari opportunità hanno bisogno di federalismo? Ci sono problemi specifici delle diverse zone italiane? «Le pari opportunità devono essere assicurate e riconosciute nello stesso modo in ogni parte del Paese. È un diritto sancito dalla nostra Costituzione all'articolo 51. Il Sud è arretrato e in ritardo rispetto al Nord e non solo in questo. Il problema è molto più ampio e il tempo è già scaduto. Occorre urgentemente dar vita alle condizioni per uno sviluppo autonomo del Meridione. Spetta alle classi dirigenti - formate, auspico, anche da donne - smarcarsi dal passato e cominciare ad amministrare e ad impiegare le risorse a disposizione in modo da ottenere stessi risultati e stessi livelli di prestazioni e servizi del Nord. Lo Stato, da parte sua, deve garantire la legalità e la sicurezza e il contrasto di ogni forma di criminalità, il controllo che ciò accada nel rispetto dei diritti di tutti. Certo è positivo che, come sta accadendo, ogni Regione abbia deciso di affrontare questi temi, focalizzandoli sui problemi o le peculiarità del territorio». L'asilo in azienda: è il privato a doversi sostituire dove lo Stato manca? «Posto che in un Paese moderno lo Stato non deve essere assente ma deve rendere disponibili per le famiglie servizi come gli asili, sono assolutamente favorevole all'asilo in azienda. Lo ritengo infatti un importante elemento all'interno di una politica aziendale all'avanguardia e al passo con i tempi e anche con le mamme e, cominciamo a dirlo, al passo con i papà che lavorano… Anche per questa ragione, insieme con i colleghi Renato Brunetta e Carlo Giovanardi, abbiamo presentato e finanziato il progetto Nidi Pa: un investimento di 25 milioni di euro che consentirà di far nascere asili nido negli uffici della Pubblica amministrazione fino ad arrivare entro dieci anni a 80-100 mila posti, il 10 per cento dei quali aperti agli esterni».