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Basta con lo sputtanamento dei vip intercettati sui giornali

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di Filippo Facci

Tatiana Necchi
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Sono favorevole alla legge sulle intercettazioni per la stessa ragione, ritengo, per cui quasi tutti i miei colleghi sono contrari: perché è una legge che rischia di funzionare, e la mia categoria l'ha capito. Così come è architettata, e mi riferisco soltanto ai divieti di pubblicazione,  quella manna giornalistica e unica al mondo che è la cronaca giudiziaria all'italiana rischia davvero di non cadere più: ovvio che direttori e cronisti non ne siano contenti, visto che il pubblicare certe intercettazioni resta uno dei pochi espedienti residuali per far impennare le vendite. Le proteste corporative, non solo dei giornalisti, nascono più da questo che da aneliti di libertà.  Torno a ripetere che mi sto riferendo solo alla pubblicazione delle intercettazioni, non ai limiti imposti circa il loro utilizzo: su questo preferisco aspettare la versione finale della legge, dopodiché vedremo. Mi limito a osservare, su questo, che è abbastanza vero che le intercettazioni spesso rappresentano una comoda scorciatoia usata da una magistratura che ormai disdegna le indagini tradizionali, un po' come i pentiti: ma è una verità parziale e ingenerosa.  La privacy Anche perché la maggior parte delle intercettazioni, anzitutto, viene richiesta dalle forze di polizia: e il paradosso è che le forze di polizia spesso abbondano in intercettazioni per risparmiare sugli uomini, altrimenti impiegati in pedinamenti e attività di controllo. Qualche direttiva del Ministero dell'Interno, da cui dipende la Polizia, potrebbe già fare molto. Ma è pur vero che il tema per cui si litiga attiene a intercettazioni che riguardano quasi sempre persone note, i cosiddetti colletti bianchi: e queste intercettazioni è perlopiù la magistratura a richiederle e a gestirle. Sono soprattutto le persone note a finire sui giornali: è naturale che il problema della privacy, che pure riguarda tutti i cittadini, mafiosi compresi, si ponga a partire da loro. Secondo le direttive comunitarie, del resto, le cartacce e le intercettazioni prive di rilevanza penale andrebbero distrutte direttamente dal magistrato: se ne scappa fuori qualcuna, la responsabilità dovrebbe essere sua. Ma è un argomento ipocrita, e chi lo utilizza ne è consapevole: anche l'amico Alessandro Sallusti, che sul Giornale di ieri ha invitato a sanzionare le toghe quali unica e vera fonte della segretezza degli atti,  sa benissimo che le carte possono scappare ad avvocati, cancellieri, poliziotti, ufficiali, vigili urbani e - assicuro - addetti alle pulizie. Durante Mani pulite spesso le carte non uscivano proprio: un giudice le lasciava in bella mostra sulla scrivania, e i giornalisti copiavano. Ma andiamo al punto. La soluzione al dilemma, in teoria, era già contenuta nel Codice di procedura penale del 1989, in particolare agli articoli 114 e 329: si sanciva che le indagini sono segrete mentre il processo è pubblico. Andare a ricostruire come il significato originario di queste norme sia stato svuotato e stravolto, ora, è complicato e inutile: prassi, consuetudini e giurisprudenza hanno favorito l'attuale colabrodo. La violazione del segreto istruttorio di fatto non esiste più: va ripristinata ex novo, come del resto nella passata legislatura cercò di fare il già abortito Decreto Mastella che oltretutto, alla Camera,  fu votato da maggioranza e opposizione. Il succo è lo stesso di oggi: le intercettazioni sono solo un mezzo di ricerca della prova che deve trovare conferma in un dibattimento, il famigerato processo, perciò il renderle pubbliche prima del tempo tende a violare alcune libertà costituzionali. Può anche essere che senza intercettazioni (meglio: senza la loro pubblicazione) non avremmo avuto tutta una serie di informazioni e indiscrezioni che invece si sono riversate sui giornali degli ultimi anni: ma la loro rilevanza, in termini strettamente giudiziari, si è rivelata quasi sempre scarsa, al dunque. Parliamo degli scandali più noti: quelli appunto «politici» dei quali non è rimasto probatoriamente nulla dopo che avevano però rinfocolato infinite diatribe: da qui la benedizione delle intercettazioni da parte della sinistra cosiddetta forcaiola, protesa a una sorta di controllo sociale esercitato dal grande orecchio delle procure. Il problema è che le sanzioni, mescolate a qualche sciocchezza che non manca mai, ora diventeranno serie, e i divieti inequivocabili. I nostri media, diversamente da quanto accade all'estero, tendono a concentrarsi sulle indagini e poi si dimenticano o quasi del processo, vero fulcro del rito accusatorio: non facciamo che lamentarcene. Questa nuova legge,  tempi della giustizia permettendo, potrebbe cominciare a invertire una cultura giornalistica sballata. Ci accoderemmo finalmente a paesi ritenuti più civili del nostro perché a contare sarebbe essenzialmente il processo, le sue risultanze, le prove, le sentenze. Informazione garantita Tanti colleghi ora strepitano a vuoto, secondo me: anche perché le notizie potrebbero uscire lo stesso, anche se non sotto forma di trascrizione integrale di verbale o di intercettazione telefonica. Il contenuto delle carte, qualora costituisca notizia, potrà sempre essere riassunto: la norma che lo vieta, io credo, resterà aleatoria e inafferrabile, e l'unico vero rischio, a questo punto, è l'autocensura degli editori, dei quali i moderni direttori sono punto di raccordo. Quello che dovrebbe sparire, in compenso, sono certi pruriginosi colloqui telefonici privi di rilevanza penale, appunto: perché resterebbero fuori dall'aula. Se invece vi approdassero, al processo, fossero anche le intercettazioni più pruriginose del mondo, la pubblicazione ne sarà pienamente giustificata. Insomma, ciò che non si potrà fare, se la legge funzionerà, è l'estrarre dal cappello carte o intercettazioni telefoniche ininfluenti a carico di indagati che poi magari non verranno neppure rinviati a giudizio. Nessuno impedirà di intervistare testi e imputati, se vorranno, ma costituirà notizia solo ciò che gli organi giudicanti avranno ammesso a valore probatorio, ciò che insomma reggerà al vaglio del processo, l'arrosto e non il fumus: e tanti saluti alle toghe in stile De Magistris. Si potrà ancora raccontare ciò che conta, in fin della fiera, ma senza poter piegare un verbale o una carta a tesi proprie o arbitrarie: più degli indagati conteranno i condannati. Ditemi se è poco.

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