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Giustizia, il Premier: "Accordo sulla riforma o parlo alle Camere"

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Berlusconi: "Trattative in corso". Poco prima Fini aveva chiesto garanzie sull'indipendenza della magistratura

carlotta mariani
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Da Bruxelles, il presidente Silvio Berlusconi anticipa le sue idee sulla ormai imminente riforma della Giustizia. Il suo probabile intervento in Parlamento sarà una sorta di messaggio agli italiani, esponendo loro la necessità di un cambio netto al sistema giudiziario nel nostro Paese: "Non ho ancora deciso quando fare questo intervento e spiego perché. Stiamo trattando con le altre forze politiche per una riforma della giustizia e quindi non voglio anticipare un mio forte intervento rispetto a possibili accordi che potrebbero farci arrivare a una conclusione positiva sulla possibilità di una riforma globale della giustizia. Se questo non dovesse succedere - prosegue Berlusconi - allora io farò un intervento in Parlamento in cui, togliendo ogni infingimento e ogni ipocrisia dirò agli italiani, partendo dal Parlamento, quale secondo me è oggi la situazione della giustizia e della magistratura italiana". Fini: "Come un ritorno al fascismo" - I pm devono rimanere liberi. È quello che sottolinea il presidente della Camera al convegno di Bari su ‘Organizzare la giustizia, il ruolo del nuovo CSM: fra nuove regole da scrivere e vecchi ruoli'. Secondo Fini, la proposta berlusconiana sarebbe un ritorno al “fascismo”. Il leader di Fli commenta che “non sarebbe motivo di scandalo separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, ma è una riforma da fare senza rinunciare all'indipendenza della magistratura. Carriere separate sì ma senza assoggettamento all'esecutivo". Discorso contrario a quello che aveva affermato ieri Michele Vietti, vicepresidente del Csm che si era opposto “alla separazione”. Fini ha detto che non è comunque d'accordo con la volontà di riforma del governo. Ritiene che la composizione attuale dell'organico sia “adeguatamente bilanciata” e un cambiamento porterebbe a “un'alterazione d'equilibrio fra i poteri dello Stato". Ha sottolineato che “un eccessivo peso ai non togati esporrebbe l'organo ad una forte dipendenza dal potere politico, con gravi rischi per l'imparzialità dei giudici”. Quello che bisogna fare, secondo la terza carica dello Stato, è vincere la lentezza dei processi, “il peggior male della giustizia". Per superare la sfida, non si deve fare tagli ma anzi aumentare il numero dei magistrati e dei loro strumenti, come la “costruzione di nuovi carceri, perché il problema del loro affollamento non può essere risolto con indulti o chiudendo gli occhi".

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