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Il popolo di Silvio adesso è più incazzato che mai

Il popolo della destra è inferocito e finalmente unito: Fini e le toghe i grandi nemici / FACCI

Andrea Tempestini
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Mai visti tanti berlusconiani incazzati, ma incazzati davvero, persino sin troppo genericamente incazzati. Giuliano Ferrara sino a venerdì sera temeva che i millecinquecento posti del Teatro Dal Verme rimanessero sguarniti, poi ecco che il cordone di polizia alle 10 e 30 era già costretto a tener fuori un sacco di gente - incazzata - e persino qualche giornalista ritardatario.  Questa volta non era una di quelle festicciuole del Foglio volutamente minoritarie e snob, una di quelle provocazioni di minoranza sedute narcisisticamente dalla parte del torto: Ferrara si è affacciato a un popolo più berlusconiano di lui, più incazzato di lui, qualcosa che dissolveva quell'aura improbabile che spesso circonda le manifestazioni di centrodestra che si vorrebbero «di popolo». Perché quello, piaccia o meno, era un popolo: militante, passionale, «leghista» senza esserlo, con Libero o Il Giornale o Il Foglio sotto il braccio, con appunti, volantini, bandierine - mutande, talora - e ciascuno a inveire a modo suo. Chi si scagliava contro Fini «traditore», chi contro Di Pietro, chi naturalmente contro i giudici, chi a esibire cartelli irriportabili (dove «porco» e «maiale» erano i sostantivi ricorrenti) e a spiegarti che veniva dalla Svizzera o da Gorizia o da Taranto, e a che fare? A ripetere che era incazzato, ma non come al solito, non come altre volte: di più. E non c'era quel compiacimento beota di chi si ritrova affiancato a dei volti televisivi, c'erano persone che sfruttavano un'opportunità per far sapere che c'erano e che erano stufi marci, persino spaventati, a tratti. LA FUSIONE Non c'era nessuna differenza tra chi il giorno prima aveva manifestato davanti al palazzo di Giustizia e chi invece era lì adesso, non c'era distinguo percepibile - Ferrara se ne è accorto subito - tra una presunta linea ferrariana e una presunta linea di Daniela Santanché, seduta in prima fila e non a caso omaggiata dall'Elefantino. Così come fregava tutto sommato a pochi - nessuno se ne  prenda a male - del messaggio più autenticamente raffinato della manifestazione, la provocazione «kantiana» contro il puritanesimo, i mutandari «unfit to lead Italy», la risposta culturale al popolo viola o del Palasharp: c'era semplicemente un sacco di gente disposta a tutto pur di difendere Berlusconi, tenersi Berlusconi, soprattutto non abbandonare Berlusconi quando l'alternativa è quella che è. C'è stato un solo e vero momento di gelo, ieri mattina: è stato quando Piero Ostellino, il corsivista del Corriere, ha detto che in caso di condanna Berlusconi però dovrebbe lasciare. Pareva eresia, nello scenario di ieri: perché era un ragionamento lineare ma che presupponeva un paese normale, dinamiche normali, politici normali, una magistratura normale, il tutto raccontato da giornalisti normali. Tutta roba che non c'è, in Italia. REATI IMPROBABILI Ora una rinnovata normalità - è il messaggio - dovrebbe ricominciare da un'inchiesta per due reati oggettivamente improbabili (senza vittime, senza parti lese) che facciano cadere il presidente del Consiglio dopo 17 anni di tentativi infruttuosi, il tutto condito con una macro-campagna diffamatoria sulle abitudini ludiche e sessuali del Premier. Ecco, il messaggio di ieri era questo: non ci riuscirete, non provateci neanche, ve lo diamo noi il bunga bunga.

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