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Sarkozy, il nuovo raìs punta al petrolio L'Eliseo ci vuole rubare il piatto

Parigi guida i volenterosi nelle operazioni militari per mettere le mani sull'oro nero. All'Italia lascia i profughi

Andrea Tempestini
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Messa ai minimi termini, non pare nemmeno una gran notizia: mezzo mondo, in testa americani e italiani, ha le tasche piene dei francesi. Nicolas Sarkozy, da quando la crisi libica è iniziata a precipitare, ha cominciato a sgomitare in maniera frenetica per assicurare alla Francia il ruolo di capofila della coalizione. Gli interessi francesi prima di tutto: una linea che sta innervosendo parecchio le cancellerie di Roma e Washington. L'irritazione italiana è palpabile. In primo luogo pesa il dossier economico: in un quadro già non idilliaco (vedi alla voce scalate transalpine agli asset di casa nostra) la partita libica assume grande delicatezza: che Parigi miri a mettere le mani sui giacimenti libici è assodato, così come lo è che voglia farlo a danno degli interessi italiani. Da qui la fretta di Sarkozy di accreditarsi come liberatore (e di conseguenza come interlocutore privilegiato per il post-conflitto) degli oppositori di Gheddafi. Una fretta che sconfina nella scompostezza. I primi raid aerei compiuti dall'aeronautica francese non sono stati nemmeno concordati con gli alleati. E i partner della Nato, che di fatto si sono trovati costretti a partecipare al vertice parigino messo in piedi sabato da Sarkozy per investirsi del ruolo di avanguardia delle operazione, non hanno gradito. Anche perché - forza del cromosoma - non è che i francesi si siano premurati di evitare il basso profilo. Il vertice ristretto Francia-Usa-Uk, convocato dall'inquilino dell'Eliseo mentre gli altri leader mondiali erano ancora in volo verso Parigi, è stato vissuto dagli esclusi come una gradassata. A dare voce al malumore del nostro governo è stato ieri sera il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto il quale, dopo avere ricordato che «se Gheddafi ci attacca lo fa con jet francesi», ha definito «eccessivo» l'atteggiamento francese nei confronti della Libia. «Se alla fine si scoprisse», va giù più tranchant l'azzurro Osvaldo Napoli, «che il tutto era finalizzato a sostituire Eni con Totalfina nei contratti petroliferi allora si potrà dire che sotto le bombe di Tripoli è stata travolta anche l'ultima idea d'Europa». Non bastasse questo, l'Italia è preoccupata anche per quanto riguarda l'emergenza umanitaria. Perché non è che Parigi sulla materia stia dando segnali di attivismo paragonabili a quelli forniti sul versante militare, anzi. Che la linea francese sia quella del “dove arrivano i profughi, lì è bene che restino”, fa venire il fondato sospetto che l'obiettivo di Parigi sia di massimizzare i profitti per sé scaricando i problemi altrove. L'irritazione degli americani, invece, si concentra sugli aspetti militari. A Washington si guarda con fastidio agli inviti quotidiani che da Parigi giungono alla Nato perché non entri in gioco. Eventualità da cui la Francia in termini di prestigio e visibilità avrebbe tutto da perdere (nell'Alleanza è tra i Paesi che contano meno) e che azzererebbe le rendite di posizione costruite negli ultimi giorni. Pur di poter fare a meno di coinvolgere chicchessia, i francesi non si sono fatti problemi a forzare la mano. E che qualcuno scavalchi l'America nella gestione della macchina militare, già a Washington fa storcere il naso. Che lo facciano i francesi, poi. di Marco Gorra

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