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Milano, così mi hanno rubato la bicicletta

Lucia Esposito
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Parlo a te, sindaco Pisapia. Diciamo che questa è una specie di lettera. Il fatto è che mi hanno fottuto la bici. E mi scuso se utilizzo il verbo balordo «fottere», ma non c'è espressione migliore per rendere l'idea. È la seconda che mi spazzano negli ultimi 60 giorni a Milano. Starai pensando, caro Pisapia: «Amico Biasin, se sto a dar retta pure alle bici rubate qui facciamo notte». Beh, sai cosa c'è? A me non interessa un fico che tu abbia cose più importanti a cui pensare. Mi hanno scippato la bici, nella tua e mia città. Era bella, nera, nuova, di quelle che ti fanno sembrare un bravo ragazzo. Gli amici me l'avevano regalata al compleanno. «Però questa volta non fartela rubare», l'ammonizione ridanciana. Prendo la cosa alla lettera. Corro in ferramenta. «Di grazia, mi vende un catenaccio anti figli-di-maiala-che-ti-fottono-la-bici?». L'uomo del ferro mi indica una parete: «Vede questi? Sono catenacci. Quello da 5 euro è da furto assicurato, quello da 50 euro è una garanzia ma pesa una tonnellata, con quello da 20 euro deve avere culo ma diciamo che può stare quasi tranquillo. In ogni caso se ne faccia una ragione: a Milano prima o poi la sua bici diventerà la bici di qualcun altro». Acquisto quello da 20 euro per tre motivi: 1) Sono un barbone. 2) Sono uno statistico («me l'hanno appena ciulata, non ricapiterà»). 3) Quello da una tonnellata avrebbe reso zimbella la mia bici. Che era nera. Bellissima. Regalata dagli amici. L'ho legata in Porta Venezia: non in via Triboniano, in Porta Venezia. Sotto alla redazione. Guardata a vista dalla telecamera di una nota banca. Ebbene, me l'hanno fottuta, e ancora mi scuso per il termine barbaro, ma il fatto è che la mia bici per te che sei sindaco di tutti noi deve avere un valore inestimabile. Come se fosse la tua, per intenderci. Ti hanno mai rubato una bici, Pisapia? No? A me e a un sacco di miei e tuoi concittadini sì: per strada, sui marciapiedi, ma persino negli androni dei palazzi o nelle cantine. Scomparse come i cinesi quando arriva l'anagrafe. Senti qua, se dovesse capitare anche a te posso darti un buon consiglio: il sabato mattina svegliati con solerzia e vai in quella che i milanesi chiamano Fiera di Sinigaglia. Ecco, ti confido un segreto di quelli che non devi dire a nessuno: laggiù il sabato mattina trovi decine e decine di bici rubate che puoi acquistare a buon prezzo da solerti e improvvisati venditori. Ritrovi quasi certamente anche la tua, forse non la mia. Perché la mia era bella, nera, regalata dagli amici: probabilmente è andata via come il pane. Sii accomodante con lorsignori, sindaco caro, perché se per caso alzi la voce e dici «malfattori, codesta è la mia bici! Restituitemela!», loro te la ridanno sì, ma sulla nuca a raffreddare l'istinto «cheguevaresco». Caro Pisapia, non intendo tediarti, ma la necessità di avere un altro mezzo di locomozione mi impone di considerare un tris di opzioni: 1) Compro un'altra bici. Nera. Nuova. Non regalata dagli amici. E un catenaccio che pesi come la bici stessa. Quindi prego in sanscrito che il mezzo passi inosservato. 2) Acquisto una tenaglia. E fotto a mia volta una bici secondo la «legge del taglione a due ruote». Quella di un concittadino a caso. Magari addirittura la tua se sei parecchio sfortunato. 3)Aspetto che qualcuno vada in questo posto losco e misterioso denominato Fiera di Sinigaglia a far presente che «forse - ma sarà nostra premura controllare codici e leggi - a Milano non è consentito rubare e vendere biciclette altrui». Non ho altro da aggiungere, amico Pisapia, chiudo questa lettera effettivamente troppo maleducata. Resto convinto che anche tu che sei l'integerrimo sindaco, dopo un primo momento in cui hai pensato «io andrei a denunciare il misfatto alle autorità!» hai calcolato il tempo che avresti buttato e ti sei inesorabilmente, lucidamente, subdolamente concentrato sull'opzione 2 per dare il via a un meraviglioso fotti-fotti universale. Che dici, la accendiamo?  Viva Milano, viva l'Expo, viva il Giro d'Italia che non finisce più a Milano e ora abbiamo capito perché: si spazzavano anche quelle. di Fabrizio Biasin

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