«La memoria è un dovere», sosteneva Primo Levi. Ma per esercitare l’esercizio del ricordare, per non dimenticare ciò che è accaduto, affinché non si ripeta, occorrono gesti concreti, atti formali. Intitolare una scuola a Sergio Ramelli, il militante del Fronte della Gioventù ucciso 50 anni fa da membri di Avanguardia Operaia a colpi di chiave inglese, a Milano, come proposto dal presidente del Senato, Ignazio la Russa, sarebbe un’azione perfettamente aderente al principio enunciato dallo scrittore, Primo Levi, superstite dell’Olocausto, autore di racconti, di un romanzo, di memorie, saggi e poesie. Ma non per la sinistra, per la quale l’esercizio della memoria non è un dovere a prescindere, ma un’operazione facoltativa, selettiva. «Lo credo difficile onestamente», sostiene il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, parlando a margine della commemorazione per Alberto Brasili, il giovane ucciso, anche lui 50 anni fa, da esponenti di estrema destra, in piazza San Babila, per la sola colpa di aver strappato dei manifesti, «il fatto è che non abbiamo tutti questi spazi di intitolazione, poi quando le intitolazioni diventano così divisive... A me sembrava che la mia proposta (dedicare un luogo di Milano a tutte le vittime del terrorismo, ndr) avesse senso, perché non c’era un intento pacificatorio, ma di dare un giudizio su quel periodo storico e ricordare le vittime, se poi cominciamo ancora a intitolare a ognuna delle vittime non finiamo più». Già, non si finisce più. Soprattutto se non s’inizia.
«Nel ricordare tutte le vittime degli anni di piombo e delle chiavi inglesi, ieri quella di Alberto Brasili tragicamente ucciso nella spirale “violenza chiama violenza”», afferma il presidente del Senato, replicando al primo cittadino del capoluogo lombardo, «ribadiamo la totale adesione alla proposta del sindaco Sala di intitolare una piazza a tutti coloro che in quegli anni furono uccisi. Dallo stesso sindaco Salami aspetto anche il sostegno all’intitolazione del liceo Molinari a Sergio Ramelli, così come fu sostenuta l’intitolazione al giovane Claudio Varalli della scuola che oggi porta il suo nome. Ogni argomentazione contraria farebbe ricadere le parole del sindaco in una direzione opportunistica di due pesi e due misure». Il doppiopesismo della memoria, viene da pensare, invece del dovere. Anche perché, ed è bene ricordarlo, l’Istituto Tecnico Statale per il Turismo viene dedicato a Claudio Varalli alla fine degli settanta. Lo studente venne ucciso per strada, da un neofascista nell’aprile 1975. Se non fu quella una dedica strumentale, ad uso e consumo della sinistra...
«Il sindaco Sala ritiene difficile intitolare una scuola a Ramelli. Sinceramente non ne comprendo il motivo, perché sarebbe invece giusto intitolargli il Molinari, scuola dove è maturato l’omicidio», sottolinea Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione e al Merito, «così come a Varalli è stata intitolata la sua scuola. Mi auguro che, senza forzature e nel rispetto dell’autonomia scolastica, questo nobile gesto di memoria possa essere effettuato col consenso di tutti. Non dovrebbero esistere intitolazioni divisive e concordo con la proposta del sindaco che sarebbe auspicabile un luogo dedicato a tutte le vittime della violenza politica che, però, non deve precludere le intitolazioni al singolo, laddove se ne ravvisi l’opportunità». «Sala mette i massacratori sullo stesso piano di chi è stato massacrato. Si deve vergognare», rimarca il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. Ma il vero nodo della “questione Ramelli” è quello della presunta divisività del suo nome, questione tanto assurda, quanto incomprensibile. «Si continua con l’equazione assurda secondo cui ricordare Ramelli sarebbe 'divisivo'. Ma cosa c'è di divisivo nel commemorare un ragazzo assassinato?», si chiede retoricamente il deputato di FdI, Riccardo De Corato, «per certi ambienti politici la memoria è selettiva e la dignità delle vittime dipende dall’appartenenza ideologica». Ramelli, come Varalli, come Brasili, e come tutti gli altri giovani morti in quegli anni, non aveva colpe, se quella di difendere le sue idee. E non può averne certamente oggi...