Milano, urlò "Palestina libera" alla Scala: maschera licenziata

di  Giorgia Petanivenerdì 30 maggio 2025
Milano, urlò "Palestina libera" alla Scala: maschera licenziata
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Chi lavora in un tempio della cultura come il Teatro alla Scala di Milano dovrebbe sapere che ogni scelta ha un peso. Non dovrebbe dunque stupire la decisione della direzione del teatro nei confronti della maschera che, al concerto alla Scala del 4 maggio, aveva urlato “Palestina Libera” mentre la premier Giorgia Meloni stava facendo il suo ingresso nel Palco Reale. Il sindacato Cub parla di “verdetto ghigliottina”, eppure sembra scontato sottolineare che chi ricopre il ruolo di maschera ha come compito quello di far mantenere il decoro e l’ordine all’interno della sala. A quanto si apprende, il Teatro non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro, in quanto non può passare il messaggio che chi riveste questo ruolo possa usare il teatro come proprio palco personale per esprimere idee o opinioni personali. Già, perché la giovane donna avrebbe potuto urlare qualsiasi frase e il risultato sarebbe stato lo stesso: il licenziamento.

Ma nonostante l’evidenza dei fatti, c’è chi non vedeva l’ora di strumentalizzare questo caso politico. «Chi lavora come maschera durante uno spettacolo deve rispettare la policy del contratto, dove viene espressamente vietato qualunque tipo di atteggiamento fuori luogo e fuori contesto», spiega a Libero Dario Emanuele della Fistel Cisl. La maschera aveva inoltre un contratto a intermittenza senza nessun obbligo di rinnovo. I motivi del provvedimento preso dai responsabili del Teatro sono dunque da ricercare nel fatto che i dipendenti in divisa - che devono garantire il regolare svolgimento del programma «non possono permettersi simili comportamenti».

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Il Teatro alla Scala sta inoltre studiando un’iniziativa importante per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione di Gaza e questo proprio per smontare le solite accuse della sinistra che non vedeva l’ora di andare all’attacco. La Scala ha infatti accolto positivamente la richiesta delle organizzazioni sindacali di poter esporre, “in occasione degli spettacoli del 6 e dell’11 giugno, uno striscione con la scritta: “Cessate il fuco, fermate i massacri”, fanno sapere unitariamente Cgil, Cisl e Uil. La data precisa, a quanto s’apprende, non è ancora stata definita. Ma per il Cub, la giovane ha «disobbedito agli ordini, sì, ma ha ascoltato la sua coscienza». E naturalmente non poteva mancare il duro attacco di Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Pd in Regione Lombardia, che ha giudicato il provvedimento «assolutamente spropositato. Vogliamo vederci chiaro e comprendere esattamente la reale dinamica dei fatti». E a volerci vedere più chiaro è anche il sindaco di Milano, Giuseppe Sala: «Non ne ho parlato con il sovrintendente, voglio parlare con lui e capire le ragioni».

Della stessa opinione anche il capogruppo M5S in commissione Cultura al Senato Luca Pirondin per cui alla Scala «non c’è spazio per la libertà di parola». Giuseppe Conte in serata ha poi aggiunto: «È stata licenziata perché, ci dicono, ha rotto il vincolo di fiducia. Ebbene: gode di tutta la nostra di fiducia». Il presidente del M5s, ha poi invitato la piazza gremita a scandire con lui: “Palestina libera”...Insomma, sembra che una certa parte della sinistra abbia dimenticato che, nei luoghi di lavoro, è fondamentale mantenere un comportamento consono al contesto e rispettoso delle regole. Nessun lavoratore, indipendentemente dalle proprie convinzioni personali o politiche, può permettersi di interrompere il servizio per lanciare slogan. Farlo, oltre a violare il codice di condotta previsto dal contratto, compromette l’immagine dell’istituzione per cui si lavora, tanto più se si tratta di un luogo prestigioso come il Teatro alla Scala. Sembrano essere dunque sterili le accuse mosse dalle opposizioni al governo. Accecati forse dalla bramosia di attaccare la premier Giorgi

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