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Minniti, il brutto sospetto sul ministro: immigrati e neofascisti, lo schiaffo a Renzi

Giovanni Ruggiero
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Nemmeno il ministro Marco Minniti è andato alla manifestazione di Como. Eppure era l' unico che doveva esserci se è vero che c' è un problema di democrazia e di ordine pubblico. Quindi, Renzi, prima di compilare elenchi di presenti e assenti, farebbe bene a domandare al proprio ministro che cosa stia facendo. Qualcosa infatti non torna. Al Viminale abbiamo un ministro dell' Interno, anzi un super-ministro dell' Interno, uno che non sfigurerebbe nella squadra degli Avengers, e poi abbiamo quattro fanatici senza cultura politica e con grandi lacune persino grammaticali che metterebbero a soqquadro l' Italia e gli italiani. Perché è di questo che stiamo parlando. Non è strano che Marco Minniti, cioè l' uomo che ha ridotto gli sbarchi, che ha messo in riga le Ong, che ha la fama di duro, che sta combattendo gli hackers, la grande criminalità organizzata e pure i delinquentelli, l' uomo che grazie all' intelligence made in Italy ha impedito gli attentati terroristici in un periodo turbolento, non è strano che questa specie di Daniel Craig versione 007 non riesca a tenere sotto controllo una sparuta truppa di pericolosi fanatici? Che faccia fare loro ciò che vogliono? Ieri Repubblica titolava della paura di un italiano su due circa un ritorno di qualche fascismo. E sempre ieri a Como il Pd sfilava dopo l' incursione di quattro sfigatelli (secondo me chiamarli così li irrita molto) in un centro culturale dedito all' accoglienza. Sempre lo stesso copione: i buoni contro i malvagi. L' occasione, dunque, è stata ghiotta per Renzi e tutto il partito affinché compilassero la loro solita lista dei buoni e dei cattivi: i Cinquestelle non ci sono, i leghisti nemmeno e via di questo passo. Fassino, nel tentare di recuperare Pisapia (che bello questo dibattito sul nulla che tiene in piedi la sinistra da oltre un mese), avvisa che «con la Meloni e Salvini il Paese è a rischio». A rischio da cosa e per cosa non si sa, ma è a rischio. Lo ripeto: caro Renzi, nemmeno Marco Minniti a Como c' era; come la mettiamo? Eppure c' erano ministri e dirigenti, dov' era dunque Minniti? Non è più un esponente del Pd? È passato già nel team della Marvel? A Como ovviamente si è ascoltata tanta retorica e s' è visto tutto quel personale politico in cerca di una salvacondotto dopo i disastri governativi. Se in Italia sta aumentando il pericolo di una destra estrema, il Pd non deve né sfilare né distribuire patenti varie: chiama il suo ministro e lo obbliga a monitorare la situazione. Qualora non lo facesse allora significa che il problema non c' è, non esiste. Ma fa comodo raccontarlo con toni enfatici per avere un argomento di consenso elettorale. Lo ripeto a scanso di equivoci: se c' è un problema legato all' eversione di destra tocca al ministro dell' Interno risolverlo. Punto. Per anni ci hanno raccontato che non c' era un problema di sicurezza legato a certe bande di migranti e che era «solo paura percepita»; ora invece scopriamo che esiste un problema serissimo e gravissimo - non percepito ma reale - dovuto alle violenze dei fascisti di rimbalzo. Bene, allora dov' è il supereroe Marco Minniti? Sonnecchia? Non ha funzionato la rete di informazioni propria dell' intelligence o tutto sommato fa molto comodo non fermare questi gruppi di fanatici? Se si dovessero verificare altri episodi di intolleranza la colpa è del ministro dell' Interno e del suo partito, il Pd. Che, ribadisco, non ha bisogno di andare in piazza visto che è al governo! In queste ore c' è qualcuno che vuole portare il dibattito su temi assolutamente secondari - sì, assolutamente secondari! - perché fa comodo elettoralmente: i fascisti o la Russia che fabbrica fake news per far vincere i Cinquestelle o la Lega. Si mettano l' anima in pace: nessun rozzo ignorante in vena di alzare le mani e nessuna fabbrica di fake porterà tanti voti su Di Maio e Salvini come le corbellerie dette e fatte da Renzi e dal Pd. Per questo i nuovi fasci fanno comodo. Dove non può lo spread ecco lo skinhead. di Gianluigi Paragone

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