Vittorio Feltri, a Repubblica fingono di non sapere chi è il loro padrone
Ieri mattina la lettura dei giornali è stata particolarmente amena. L' articolo più spassoso lo abbiamo letto su la Repubblica, un editoriale irresistibile, presumibilmente scritto dal direttore, Mario Calabresi, nel quale si dice con forza che l' editore, Carlo De Benedetti, non conta un cacchio in redazione, è un estraneo. In altri termini più espliciti, il padrone non sarebbe padrone in casa sua. Pertanto le sue vicende personali e finanziarie non sarebbero tenute in considerazione dai cronisti. Leggi anche: L'inchiesta-bufala su Milan: ecco chi si sta arricchendo Calabresi, detto l' orfano, un ragazzo talmente simpatico da aver digerito gli assassini di suo padre come una foglia di lattuga scondita, ci vuol far credere che De Benedetti quando frequenta la Repubblica, e parla al personale, nessuno lo ascolta, viene preso sotto gamba come se fosse un qualunque Pinco Pallino. Mario, fammi il piacere: vai in mona. Non c' è anima che ti possa credere. È vero che i giornalisti italiani sono i più liberi del mondo di attaccare l' asino dove vuole il proprietario dell' azienda. Ed è altrettanto vero che tu sia indipendente, ma solo da te stesso. Per capirlo basta aver letto la Repubblica dal 1976 in poi. Ogni direttore ha tenuto, legittimamente, una linea rigorosamente di sinistra. Ci sarà un perché, caro Calabresi. Quando sei stato assunto da De Benedetti, con lui avrai fatto due chiacchiere. Non dirmi che avete sorvolato sulla politica e sui fatti privati del tuo potenziale datore di lavoro. Io ho guidato sette o otto pubblicazioni più o meno di spessore, pertanto conosco la delicata materia. Editore e direttore si mettono d' accordo. A intesa raggiunta, non sui dettagli, si firma il contratto e a questo ci si attiene. Il fondo di Mario uscito ieri è una coltre di ipocrisia infantile, non contiene un solo aggettivo o un solo sostantivo digeribile. La Repubblica si è dilettata anni e anni ad attaccare violentemente Berlusconi però non ha sprecato una virgola per criticare De Benedetti, che in politica ha avuto ed ha un' importanza enorme. Ovvio. Carlo è il padrone della baracca. Se lo sfrucugli oltre che un uomo libero sei un cretino, dato che lui, se gli rompi le scatole, ti licenzia e tu vai a casa con la coda tra le gambe. E allora, illustre direttore dei miei stivali, risparmiaci le tue lezioncine e ammetti che sei soltanto un impiegato, di lusso, ma pur sempre un impiegato che esegue ordini così come fan tutti i miei colleghi, me compreso. Leggi anche: De Benedetti, come massacra Renzi: "Sapete quanto ne capisce di economia?" Lo stesso discorso va fatto per Maurizio Molinari, numero uno della Stampa di Torino, eccellente professionista, e lo affermo con cognizione di causa, essendo egli stato mio giornalista all' Indipendente, il quale ieri ha dedicato tre pagine per demolire Berlusconi, accusandolo di brogli nella vendita del Milan ai cinesi (cosa smentita per ora dalla Procura). Molinari in realtà è stato abbastanza onesto: ha pubblicato un pezzo, sul proprio quotidiano, riguardante la vicenda di De Benedetti (suo editore) e delle banche popolari. Gliene diamo atto. Ma sul Cavaliere è andato giù assai più pesantemente, interferendo con veemenza nella campagna elettorale in corso. Chissà per quale ragione ogni qualvolta ci si avvicina ad elezioni, la stampa cosiddetta iperdemocratica, illuminata e progressista si scatena per sputtanare Silvio (che per altro, spesso, si sputtana da sé) con l' evidente intento di fargli perdere consenso. Da un ventennio e passa ormai assistiamo a questo desolante spettacolo, il tiro al bersaglio di Arcore. Fatichiamo a comprendere la ratio di ciò. Silvio è in politica dal 1993, un quarto di secolo, e ha dovuto combattere di più contro i media e la magistratura che non per conquistare suffragi. Ha governato in varie riprese per nove anni, gli altri 16 anni sono stati dominati dalla sinistra, ma addossano al Cav la responsabilità di ogni nefandezza compiuta da qualsiasi esecutivo, da quelli prodiani a quello montiano a quello lettiano, poi renziano e gentiloniano. Vi sembra serio un simile modo di agire, amici della mia categoria? Non dico che dovreste vergognarvi, perché so che la pagnotta conta maggiormente della dignità, ma consentitemi di invitarvi a mantenere almeno un po' di contegno. Berlusconi ha tanti difetti, però sempre meno di noi e comunque nella vita egli non si è distinto solamente per l' attaccamento alle mignotte. Noi neanche a quelle per mancanza di mezzi. di Vittorio Feltri