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Filippo Penati, il ricordo di Renato Farina: "Un comunista per bene, ecco chi era davvero"

Giulio Bucchi
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In morte di Filippo Penati mi viene in mente il volto di una persona che portava bene addosso il nome di comunista, non al modo astuto dei capi, ma come mi capitava di vederne, tipi così, nel fumo dei bar fuori dalle acciaierie di Sesto San Giovanni prima dell'alba. Erano gli anni 80, e c'erano ancora gli operai. Penati era sindaco di quella gente lì. Insegnava nelle scuole superiori, e militava nelle file del partito. Era tardivamente un Peppone, intriso di umanesimo cristiano. Un Peppone colto. Tutti lo ricordiamo per gli ultimi anni della sua vita. Le accuse di essere stato il capo del sistema-Sesto, un modello di corruzione inventato per pompare risorse verso la Ditta in quel momento gestita da Pierluigi Bersani. Di quest'ultimo, uomo della sua stessa pasta, Penati fu segretario organizzativo. Posso dirlo in coscienza: Filippo era una persona specchiata. Lo conobbi, lo frequentavo. Non aveva lo sguardo risentito di certi compagni che disprezzavano il diversamente pensante, come se fosse un essere moralmente inferiore, da trattare al massimo con condiscendenza opportunistica. Da presidente della Provincia cercò di difenderne gli interessi economici, magari calcolando male, ma certo in buona fede. Era fazioso come i bravi compagni, quando si discuteva, ma non era di parte quando c'era da difendere il popolo e le buone cause. Il processo per corruzione lo offese profondamente. Ci sono cose più pesanti del carcere ed è la lo sfregio alla reputazione. Si difese con coraggio a Monza. Come è capitato a molti, il virus iniettato a tradimento nell'anima, quella di essere un ladro e di aver tradito la buona fede dei cittadini, si trasforma in un cancro che ammazza. Tutti abbiamo in mente la vicenda di Enzo Tortora: la stessa infezione è toccata a Penati, che si è fatto fotografare ancora pochi mesi fa smagrito ma allegro, con la coppola in testa a nascondere la caduta dei capelli per la chemioterapia, senza vergognarsi di dover usare la carrozzina per scoprire che la città non è pensata per i deboli ma per i forti. E da lì il suo invito ai sindaci di provare a girare le città dal punto di vista di chi deve farsi spingere su un attrezzo che ciascuno di noi crede sia sempre destinato agli altri. Ora i giornali scrivono che in parte Penati è stato assolto, in parte prescritto, e che comunque la Corte dei conti lo aveva condannato a un risarcimento milionario. Quando era potente mi capitò di imbattermi nella sua capacità di vedere oltre le apparenze. E qui mi riferisco alla mia personale vicenda che coinvolse anche Libero. Fu nel 2006 che, caricato di accuse in merito al rapimento di un imam in odore di terrorismo, fui oggetto con la mia famiglia di una serie di intimidazioni molto pesanti di una frangia delle Brigate rosse. Non si mosse nessuno tra i politici a manifestare solidarietà pubblica. Ci pensò un ex (?) comunista, Filippo Penati, a quel tempo presidente della provincia di Milano, giunta rossa. Sono cose che tirano su il morale, allora e sempre, e vorrei rendere più lieve la terra a un uomo di antico stampo, che avrebbe meritato un Giovannino Guareschi a raccontarne vita e morte. di Renato Farina

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