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Iran, Farah Diba: "Vogliono la monarchia, sono pronta a tornare"

MARIOFILIPPO BRAMBILLA DI CARPIANO
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L'entrata del palazzo in cui mi trovo, con le insegne presidenziali sul cancello, brulica di militari e di guardie del corpo. In un fresco salottino al piano terreno, l'Imperatrice Farah Pahlavi, mi riceve insieme alla figlia dell'Emiro di un paese del Golfo venuta in visita di cortesia. Sono passati molti mesi dal nostro ultimo incontro in Europa ma la Shahbanu conserva intatta tutta la sua forza elegante e tranquilla. Si trova in Egitto per rendere onore, come ogni anno, alla memoria del marito, l'ultimo Shah d'Iran Mohammed Reza, sepolto da quarantadue anni dentro una tomba monumentale di onice verde nella moschea reale di Al Rifa'i. Nel 1979, in Iran, esplode la rivoluzione islamica che rovescia la monarchia, la famiglia imperiale lascia il Paese, l'Ayatollah Khomeini prende il potere e per i Pahlavi inizia un'odissea. Quasi nessuna nazione è disposta a ospitarli. Il 27 luglio del 1980 lo Shah, malato da tempo, muore al Cairo all'età di sessant'anni. Ancora oggi, per l'Imperatrice in esilio, occuparsi dei problemi del suo paese e degli iraniani equivale a una missione esistenziale che le infonde energia e coraggio.

 

Maestà, sono passati quarantadue anni dalla morte dello Scià Mohammed Reza Pahlavi, un tempo amato e detestato dal suo popolo con egual forza. La sua figura rimane fortemente presente nella comunità persiana ed attualmente sembra riguadagnare una certa popolarità postuma. Cosa resta della sua vicenda umana e politica?
«Quello che mi colpisce maggiormente è che, dopo tanti anni e dopo tutto quello che venne detto contro di noi, molti di quelli che ci osteggiavano all'epoca, compresi alcuni politici stranieri che non erano affatto favorevoli al progresso e allo sviluppo dell'Iran, abbiano capito quanto lo Scià ha fatto per il nostro Paese. E la cosa più importante è che oggi lo apprendano anche gli iraniani nati dopo il 1979. Da parte loro sta montando un forte sentimento di simpatia e di amore, negli ultimi mesi in Iran ci sono state numerose manifestazioni di piazza, dove i giovani scandivano a gran voce: Reza Shah roohat shad (letteralmente: Reza Shah che il tuo spirito sia felice). Riguardo alla sua domanda, lo Scià è stato amato dalla popolazione e odiato da diversi gruppi politici e di opinione. Tuttavia quello che commuove oggi me e la mia famiglia sono la simpatia della gioventù iraniana verso la memoria dello Scià e il ricevere tanti attestati di affetto da chi ci ha combattuti ieri mentre oggi, a conti fatti, si è pentito di aver appoggiato quella rivoluzione».

Seguendo la visione ereditata dal padre Reza Scià, suo marito accelerò la corsa dell'Iran verso la modernità, grazie agli immensi ricavi provenienti dalla vendita del petrolio, il paese passò dal medio-evo al mondo sviluppato contemporaneo in appena due generazioni. E' vero che verso la fine del suo regno avrebbe voluto aprire la strada a un regime più liberale?
«Si è vero. Pensi a come era l'Iran, che si chiamava ancora Persia, quando Reza Shah salì al potere nel 1925 e a quali traguardi avesse raggiunto quando noi siamo partiti nel 1979. Immagini il progresso che ci fu in tutti i campi: nel sociale, nell'industria, nella sanità, nell'educazione e nello sviluppo, in tutti questi settori il Paese venne proiettato in avanti. Quello di cui, con il passare del tempo, sempre più iraniani si rendono conto è che lo Scià intendeva aprire la politica interna in senso più liberale appena si fossero consolidati la crescita e lo sviluppo, dando il tempo alle nuove generazioni di essere educate per vivere in una società più moderna. Verso la metà degli anni '80 lo Scià aveva in progetto di lasciare la corona a nostro figlio Reza (il principe ereditario) per completare la transizione verso una monarchia pienamente costituzionale».

Le indimenticabili celebrazioni per i duemilacinquecento anni della monarchia persiana a Persepoli attirarono forti critiche allo Scià per l'ingente utilizzo di fondi statali. Quali furono gli obiettivi suoi e del suo governo in quella circostanza?
«Il suo obiettivo era mostrare al popolo iraniano e al mondo intero la storia e la cultura dell'Iran, Paese che fu la culla di grandi civiltà.
Quasi tutti Capi di Stato del mondo vennero a Persepoli per le celebrazioni. Purtoppo a quel tempo certi media internazionali che erano contro di noi, unitamente a una certa opinione pubblica, non perdevano tempo per criticare ogni cosa facessimo. Allora io mi domando, siccome la situazione di oggi in Iran è drasticamente peggiorata, tanto da non essere comparabile con quella dei tempi dello Scià, come mai nessuno di loro in tutti questi anni ha mosso le stesse critiche verso chi è oggi al potere in Iran, ovvero alla Repubblica Islamica? A quel tempo ci fu un insieme di interessi stranieri contro di noi, collegati al forte aumento del prezzo del petrolio e al fatto che l'Iran stava diventando una grande potenza.

Il bimillenario di Persepoli diede impulso all'economia?
«L'Iran fu dotato di molte nuove infrastrutture tuttora in uso. Vennero costruite autostrade, aereoporti, centinaia di scuole e di ospedali. Gli operai avevano un  salario con cui mantenere le loro famiglie, gli studenti avevano da mangiare nelle scuole, anche le donne in molti casi ricoprivano ruoli importanti nell'amministrazione dello Stato. Certo avevamo anche tanti problemi interni, il nostro era un Paese in via di sviluppo con le sue contraddizioni. Ma tutto venne fatto a vantaggio della popolazione, mentre oggi purtroppo la maggioranza della popolazione iraniana versa in una condizione di estrema povertà, le donne sono maltrattate, ci sono agitazioni da parte degli operai e dei professori della scuola, ci sono addirittura genitori che vendono i loro figli a causa dell'indigenza in cui si trovano le famiglie. Pensi a come era stabile e prospero un tempo l'Iran e in che situazione si trova invece oggi sotto il regime degli ayatollah. Più di qualcuno, adesso, si rende conto di quanto di buono venne fatto ai tempi dei Pahlavi».

Molti iraniani vengono al Cairo da tutto il mondo per rendere omaggio alla tomba dell'ultimo Scià che è sepolto nella moschea Al-Rifa'i , la stessa dove riposa anche re Farouk d'Egitto. Esiste un'espressione in lingua farsi che dice : Nel territorio del re il re non muore mai. La storia è ricca di nemesi, segno di un cambiamento possibile in Iran?
«Sì, perché la maggior parte degli iraniani, sia dentro che fuori dai confini, non vuole questo regime teocratico e tra loro vi sono molti giovani che sono favorevoli alla monarchia. Dai primi anni cinquanta lo Scià Mohammed Reza strinse solide relazioni bilaterali con l'Italia. L'amicizia con Enrico Mattei, presidente dell'Eni, favorì l'accordo petrolifero che cambiò il mercato mondiale dei carburanti interrompendo l'oligopolio delle Sette sorelle. Quando a un certo punto ci fu un problema e tutto il mondo smise di acquistare il nostro petrolio, Enrico Mattei decise di continuare a comprarlo rompendo gli schemi imposti dalle grandi compagnie, dividendo i proventi con il paese produttore. Mattei ebbe in seguito un incidente aereo in cui perse la vita, tutti pensarono che qualcuno avesse voluto sbarazzarsi di lui a causa dell'accordo raggiunto con l'Iran. Il petrolio è sempre stato fonte delle nostre fortune e delle nostre disgrazie».

Voi avete sempre conservato forti relazioni con il panorama culturale italiano.
«Ammiro l'Italia e gli italiani. L'Italia è un grande paese di cultura e di civilizzazioni e noi avevamo anche molte relazioni culturali con voi al di la di quelle politiche e commerciali. C'erano molti professori italiani che venivano in Iran per riparare e restaurare i monumenti antichi e ci sono degli iranologi italiani che parlano il persiano meglio di me».

Come si sente quando torna nella capitale egiziana?
«Quando torno qui mi sento come in una seconda patria e sono grata al governo e al popolo egiziano che ci ricevono sempre con grande amicizia e gentilezza.
Quando venimmo qua la prima volta, all'inizio dell'esilio, i giornalisti stranieri andavano a vedere se la popolazione avesse delle reazioni avverse ma al contrario la gente per strada rispondeva che lo Scià era il benvenuto perchè quando l'Egitto aveva attraversato momenti dificili lo Scià li aveva aiutati».

Oggi al Cairo si commemora anche il presidente della Repubblica Araba d'Egitto Anwar El Sadat. Fu praticamente il solo tra i Capi di Stato dell'epoca a dare un asilo sicuro allo Scià e alla sua famiglia a seguito della rivoluzione iraniana. Quali sono i suoi ricordi?
«La mia famiglia e io siamo molto riconoscenti all'Egitto, al presidente Sadat e a sua moglie Madame Sadat, perché quando il paese più potente del mondo che ci era amico (gli Stati Uniti) non ci voleva dare asilo l'unico che ebbe il coraggio di ospitarci fu il presidente Sadat. Lui ebbe l'umanità di ospitare lo Scià malato e di garantirci la sicurezza. Gli Stati Uniti non volevano che l'Egitto ci ricevesse, il presidente Sadat disse al presidente americano Carter: Jimmy I want the Shah here and alive. Lui a un certo punto non volle più parlare con il presidente Carter e inviò a farlo il suo vice Mubarak. Inoltre, quando noi eravamo alle Bahamas in balia degli eventi, Sadat voleva inviarci un aereo egiziano per portarci al Cairo ma gli americani dissero di no e ci proposero un loro aereo. Noi pagammo molto per quell'aereo e mentre eravamo in viaggio sopra l'Oceano i piloti atterrarono improvvisamente alle Azzorre. Ci dissero che stavano aspettando il permesso di volo, nel bel mezzo della rotta(...). In realtà gli Stati Uniti stavano trattando con il governo rivoluzionario in Iran per consegnarci a loro. Per fortuna erano le vacanze di Nowruz (il capodanno persiano), i ministri erano partiti dalla capitale, non furono reperibili al telefono e dunque non poterono decidere».

L'Iran è probabilmente il paese più colto del Medio Oriente, è noto il vostro impegno ai tempi della monarchia per la creazione di un grande museo d'arte contemporanea, all'epoca il primo ad essere inaugurato in un paese musulmano. Quali speranze restano di riaprire al pubblico questa enorme collezione ?
«Quando ho creato questo museo mi sono detta: nel mondo ci sono talmente tante opere d'arte persiane, perchè non avere anche noi delle opere d'arte di altri paesi? Noi non potevamo permetterci di comperare opere antiche e allora abbiamo pensato all'arte contemporanea. Nei primi anni '70 i prezzi di queste opere non erano alti come oggi. A seguito della rivoluzione il museo è stato chiuso ed io ho temuto che le opere venissero distrutte o vendute, per fortuna la quasi totalità è stata messa al riparo nei sotterranei, perché ritenuta incompatibile con la morale islamica. Solamente un quadro è stato scambiato tramite un giro di corruzione. Sono in contatto con molti giovani artisti iraniani che mi scrivono spesso a proposito del nostro museo».

Lo Scià aveva delegato interamente a voi, come imperatrice consorte, le politiche culturali del paese. Non soltanto l'arte contemporanea ma anche gli scavi archeologici, il Museo del Tappeto, il Festival di Shiraz e molte altre iniziative. Qual'è il progetto che vi ha entusiasmato di più?
«Certamente il Festival di Shiraz, che riuniva grandi artisti e le più diverse espressioni artistiche tradizionali e d'avanguardia provenienti da tutto il mondo. Venendo da un paese di grande civiltà sono sempre stata molto interessata all'arte e alla cultura. Ricordo anche il Museo del Tappeto e il museo del Golestan che raduna le collezioni della dinastia Qajar. Purtroppo successivamente venne adibito a caserma dei guardiani della rivoluzione. Ma non mi sono occupata solamente d'arte, tengo molto alle mie attività sociali: per le donne, per i malati, i lebbrosi. Con l'aiuto dei miei compatrioti, secialmente donne, abbiamo portato a termine tante iniziative in campo sociale e umanitario».

Nella vostra vita non sono mancati grandi splendori ed immani tragedie, dove trovate la forza per resistere ai colpi del destino?
«La disgrazia di aver perduto mia figlia Leila e poi mio figlio Ali-Reza rappresenta una tristezza infinita. Mi sono detta: devo conservarmi per i miei figli viventi, per le mie nipoti, e per quei miei compatrioti che hanno perduto i loro figli a causa di questo regime in Iran. Cerco di restare positiva, ringrazio il cielo per tutto quello che c'è di buono e cerco di non essere mai negativa nella mia vita».

Nel 1978-79, le parole d'ordine dei rivoluzionari impartite da Khomeini venivano registrate su delle audio cassette e poi ascoltate in segreto nella quiete apparente delle moschee. Oggi la contestazione al regime degli ayatollah viaggia sui social network. Cosa ne pensate dei social media e come comunicate attraverso di loro?
«È molto importante perché grazie ai social network gli iraniani sono al corrente di molte cose. Io li utilizzo ed anche attraverso i social sono molto spesso in contatto con i miei compatrioti. Scrivo, registro messaggi a voce, a volte parlo con i miei connazionali, mi da molta gioia parlare con i giovani che sono nati dopo la rivoluzione islamica, questo infonde anche a me molto coraggio. Si può dire che nella società iraniana c'è da tempo una forte propensione all'uso della tecnologia» 

Vostro figlio, il principe Reza, è riconosciuto da molti iraniani all'interno e da gran parte della diaspora persiana nel mondo come il leader dell'opposizione al regime islamico fondamentalista di Teheran. Secondo alcuni osservatori internazionali indipendenti potrebbe essere la persona capace di portare in Iran le libertà civili e di preservare l'integrità del territorio nazionale. Qual è il suo intento? 
«Mio figlio Reza in questi anni ha sempre ribadito di credere nella difesa dell'integrità territoriale dell'Iran, nella libertà politica, nella libertà delle donne e nella separazione della religione dallo Stato e di volere che siano gli iraniani a scegliere liberamente quale dovrà essere il loro futuro assetto politico e istituzionale». 

Tenete molto all'unità della vostra famiglia che vive in esilio negli Stati Uniti e in Europa. Le vostre nipoti Noor, Iman, Farah e la piccola Iryana sono delle giovani ragazze contemporanee, le raccontate la storia del loro paese e quella del loro nonno? 
«Iryana è ancora un po' piccola ma certo a tutte loro parlo della nostra storia, anche se dovrei farlo di più. Loro hanno letto il mio libro di memorie e i libri del loro nonno, anche se sono molto prese dalla loro vita di ragazze cerco sempre di incentivarle». 

In Iran nel corso delle ultime settimane sono scoppiate nuove proteste sulla condizione della donna e in particolare contro l'obbligo di portare l'hijab (il velo islamico). I Pahlavi diedero inizio all'emancipazione femminile nel paese. Vostra nipote la principessa Noor, figlia maggiore del principe Reza, è l'erede della dinastia? 
«Si, secondo il principio di primogenitura. Se in Iran ci fosse la monarchia Noor succederebbe a suo padre. La nostra vecchia costituzione riconosceva una posizione importante alle donne. Quando lo Scià mi nominò reggente fu per evidenziare l'importanza delle donne, in un paese musulmano del Medio-Oriente». 
La stragrande maggioranza della popolazione in Iran ha meno di trent'anni. Una generazione che non ha conosciuto ne l'epoca dello Scià ne gli anni dell'ayatollah Khomeini ma che vive la crisi attuale della Repubblica Islamica. Quale avvenire immaginate per loro? 
«Io vorrei rimanere positiva. Sono sicura che un giorno la luce vincerà le tenebre dell'oscurità e che l'Iran rinascerà dalla sue ceneri». 

Se le condizioni lo permettessero sareste pronta a rientrare nel vostro Paese in qualunque momento? 
«Sì io lo spero ma la cosa più importante per me è la libertà dell'Iran e la libertà degli iraniani. Se un giorno potrò tornare nel mio Paese sarà per me un'immensa gioia».

 

 

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