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Buttafuoco, il disastro della sinistra: "Fa ridere, non ci credono neppure loro"

Pietro De Leo
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La Giorgia Meloni di governo, il ritorno della politica e la prevalenza del "principio di realtà". In un colloquio con Libero, lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco traccia un approfondito quadro dello scenario dopo le prime settimane dell'esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d'Italia.

Di Giorgia Meloni si diceva che avrebbe pagato il prezzo della differenza tra l'essere leader di opposizione e guidare un governo...e invece? 
«Invece essere all'opposizione è una condizione che ti responsabilizza, ti prepara ad andare al governo».

La vulgata, però, vuole una concezione diametralmente opposta. 
«Noi abbiamo un esempio da manuale sul tema, quello del Partito Comunista Italiano. Storicamente è sempre stato all'opposizione, in realtà era preparato al governo e al sistema, tant' è vero che il Pd usufruisce della formazione politico -culturale derivante dal Partito Comunista, che aveva penetrazioni un po' ovunque, dall'università all'editoria...Se non ci fosse stata quella, difficilmente sarebbe stato possibile per il Pd affidarsi alle terze, quarte file della Dc».

 

 


La destra, però, non ha quel livello di penetrazione. 
«No, non ce l'ha. Ma ce l'ha nella società, nel consenso. La maggioranza degli italiani non è di sinistra. Se si pensa all'immaginario, Giovannino Guareschi è largamente maggioritario rispetto a Italo Calvino. Padre Pio è molto più radicato rispetto a Don Ciotti».

Altra cosa che si preventivava, una reazione ostile dei cosiddetti potentati, a partire dalle istituzioni europee nel caso in cui avesse vinto il centrodestra. In realtà, poi, non c'è nulla di apocalittico. 
«Secondo me bisogna valutare anche il dato psicologico. Istintivamente, l'opinione pubblica europea parte da un dato: è un governo che dura cinque anni. Non ha le fragilità che si vedevano in altre esperienze politiche. Il Macron di turno, quando si confronta con Giorgia Meloni, interloquisce con un Presidente del consiglio solido, che non è commissariato da nessuno. Peraltro, lei sta operando trasferendo il dato di realtà in contenuti tutti di progettazione, programmazione, in vista di passaggi fondamentali, come le riforme, lo scioglimento dei nodi che accompagnano la burocrazia. Non ultimo, la consapevolezza geopolitica che solo l'Italia può avere. Su questo si basa anche quello che Luciano Violante, intervistato sempre su Libero da Francesco Specchia, ha definito scherzosamente come il percorso verso il "PCI", partito conservatore italiano».

 

 

 


Lei parla della prevalenza del dato di realtà. È cambiata la chiave di lettura? 
«In Italia c'è una sola dialettica, quella tra realtà e narrazione. Finora, prima della vittoria elettorale del centrodestra, il sistema si faceva forte della narrazione che andava in contrasto con la realtà. Il Pd poteva perdere le elezioni ma, per usare una battuta di Renzi, sapevamo che Orlando sarebbe stato comunque ministro. Ora, tutto questo è stato spazzato via dal risultato elettorale. Un trauma, immediatamente assorbito dall'opinione pubblica».

Dall'opinione pubblica sì, ma che ne è del Pd... dei "giornaloni"... del generone culturale di sinistra? 
«C'è un borbottio ormai sempre più patetico, dei grandi giornali dell'establishment, che sono sempre stati governativi e oggi si trovano ad essere baluardo d'opposizione. Ma con temi tutti legati alla famosa narrazione. Ma una cosa è l'Italia che si alza al mattino per andare a procurarsi il pane, altra cosa è la brioche di Maria Antonietta. Il cipiglio della Ztl generale vive questa situazione nella bolla confortevole del proprio narcisismo. Le loro battaglie quali sono? Aggrapparsi alla Corte Costituzionale per il pronunciamento sull'obbligo vaccinale, no? Legittimo, ma uno si aspetterebbe una battaglia per le liste d'attesa sterminate».

Altra "battaglia" è contro il pericolo del ritorno del fascismo... 
«Sì ma quello ormai fa ridere, neanche loro ci credono più perché hanno capito che è controproducente».

È durata fino a una qualche settimana fa. 
«Direi che è concluso. Era una rendita che dava loro la possibilità di criminalizzare l'avversario».

Anche Conte è così fuori dal principio di realtà? 
«No, con lui è diverso. È stato geniale nel polverizzare il Movimento 5 Stelle e fare un partito tutto suo, ha messo tra parentesi Grillo, e poi è stato aiutato anche dalle circostanze, come la costruita scissione di Di Maio, una specie di Soumahoro che sembrava essere l'eroe di tutto e poi è finita come sappiamo».

Quella di Conte è la vera sinistra al momento? 
«Non c'è dubbio».

Venerdì è uscito il rapporto Censis, che dipinge un Paese un po' bloccato. In questi ultimi anni abbiamo spesso lamentato una debolezza della politica. Oggi è cambiato qualcosa? La politica ha la possibilità di cambiare questa situazione?
«Il colpo di scena del governo Meloni è un ritorno in grande stile della politica, un ritorno mobilitante».

Però ha bisogno di continuità.
«Certo, la fatica ora è quella di darsi una visione. Per questo trovo interessante il tentativo di costruzione del partito conservatore italiano. Un percorso che, peraltro, dovrà porsi come obiettivo anche quello di dare spazio alla cultura italiana nell'identità europea contemporanea, dove finora prevalgono quella francese e quella tedesca. Noi abbiamo un giacimento di pensiero legato alla scienza, alla transizione digitale, alla tecnica. A livelli altissimi. In quell'ambito dobbiamo cominciare ad offrire il meglio».

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