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Stefano Massini, il Duce non basta più: è caccia grossa a Hitler

Giovanni Sallusti
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I fuoriclasse li riconosci perché rilanciano oltre il pensabile (e spesso l’impensabile), spostano orizzonti che sembravano ampiamente esauriti, anche abdicando al canone della verosimiglianza minima.

Ebbene, non c’è Saviano, non c’è Scurati per quanto fresco di cavalierato parigino, non c’è ovviamente Serena Bortone che tenga: il vero fuoriclasse dell’allarme democratico sotto il governo nero delle destre è di gran lunga Stefano Massini. Scrittore, autore-attore, intrattenitore per eccellenza delle anime belle progressiste nel loro luogo d’elezione, il salotto di PiazzaPulita, Massini si presenta con la seguente modestia sul proprio profilo X: «Scrivo. In tutte le forme possibili. Dal teatro ai romanzi al cinema».

Insomma, prendete Céline, aggiungeteci qualcosa di Pirandello e una spruzzata di Kubrick, e otterrete il nostro. Che infatti, forte di tale versatilità enciclopedica, è anche un grande ottimizzatore commerciale. Scrive un libro e via, subito ne ricava uno spettacolo teatrale (il film richiede tempi più lunghi, ma non abbiamo dubbi ci stia lavorando). Il libro è Mein Kampf- da Adolf Hitler (Einaudi), sponsorizzato come «la biopsia del testo maledetto», in cui Massini scava il documento hitleriano, lo arricchisce tramite analisi comparata con discorsi e citazioni del Führer, per arrivare alla sorprendente conclusione: costui era un esaltato gravato da abbondante frustrazione personale, ma anche abilissimo nell’intuire la psicologia delle masse novecentesche, su cui ha edificato l’orrore.

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