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Saviano, gli attacchi ai media di Macron e Biden che smentiscono i suoi piagnistei

di Alberto Busacca mercoledì 18 dicembre 2024

Roberto Saviano

3' di lettura

La Meloni ce l’ha coi giornalisti. Non solo. Ce l’ha pure con gli scrittori e con gli intellettuali in generale. Una cosa inammissibile, secondo chi la critica da sinistra. E soprattutto, dicono, una cosa che non succede in nessun altro Paese civile. Lunedì sera tra gli ospiti di Lilli Gruber a Otto e mezzo c’era Roberto Saviano, citato polemicamente da Giorgia nel discorso che ha chiuso la festa di Atreju («Abbiamo buttato fuori i camorristi che occupavano le case popolari a Caivano, e anche qui i complimenti dei guru dell’antimafia alla Saviano li aspettiamo domani»). E lui, lo scrittore, si è lamentato: certe cose accadono soltanto qui. In Francia, ha spiegato, «era impensabile che il presidente della Repubblica potesse prendersela con Sartre. Inimmaginabile...».

Ok. Ma davvero questa polemica tra politici, giornalisti e intellettuali esiste soltanto nell’Italia governata dalla Meloni? No, in realtà. Le cose non stanno assolutamente così. Partiamo proprio dalla Francia. Saviano l’ha indicata come esempio virtuoso, eppure da quelle parti il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, è stato più volte criticato per i suoi rapporti coi media. Nel 2017, ad esempio, durante una riunione del gruppo parlamentare di En Marche!, ha definito la tv pubblica «la vergogna della Repubblica», prendendosela in particolare con l’incapacità dei dirigenti di far quadrare i conti. Immaginate se la Meloni avesse detto una cosa simile della Rai. Indignazione e allarme democratico...

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Non è tutto. Sempre nel 2017, poco dopo la sua prima elezione, Macron è stato anche contestato per la pretesa di scegliere i giornalisti da portarsi al seguito nelle varie missioni in Francia o all’estero. In quell’occasione una quindicina di testate- fra cui Le Monde, Afp, Liberation, e Le Figaro - hanno scritto una “lettera aperta al presidente” per lamentarsi delle ingerenze. C’è poi tutto il capitolo dei giornalisti in carcere. Nel 2020 il reporter Taha Boufhas è stato fermato per aver rivelato via Twitter che Macron si trovava in un teatro, dove poi è stato contestato da un gruppo di manifestanti. Mentre nel 2023 la giornalista Ariane Lavrilleux ha trascorso 39 ore dietro le sbarre, denunciando di essere stata lasciata senz’acqua e senza medicine, per aver rivelato la collaborazione dei servizi segreti francesi con il regime egiziano di Al Sisi. In entrambe queste occasioni, come prevedibile, il presidente francese è stato duramente attaccato e accusato di voler imbavagliare la stampa.

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La stessa accusa, tra l’altro, è stata rivolta anche a un altro eroe della sinistra: il premier spagnolo Pedro Sanchez. Dopo le inchieste giornalistiche sulla moglie, infatti, Sanchez ha annunciato un “piano di rigenerazione democratica” dei mezzi di informazione in 31 punti, tra cui un registro dei media in cui vengano dichiarati i proventi pubblicitari, una riforma della legge sulla pubblicità per impedire alle amministrazioni pubbliche di finanziare eccessivamente alcuni media, l’inasprimento delle leggi che proteggono l’onorabilità e che impongono rettifiche. Per il capo del Ppe, Alberto Nunez Feijoo, si tratta del «più grande attacco alla libertà di informazione» mai visto in Spagna. E per concludere, il caso forse più eclatante. Nel 2022, alla Casa Bianca, il presidente americano (democratico) Joe Biden, dopo una domanda sgradita sull’inflazione, ha definito il giornalista di Fox News Peter Doocy «stupido figlio di p...». Molto meglio tenersi la Meloni, vero Saviano?

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