Chi non conosce il cardinal Christoph Schönborn, nato nel 1945, arcivescovo emerito di Vienna, dovrebbe proprio. Rampollo di un nobile casato di conti, domenicano, coltissimo (ha frequentato anche La Sorbona e l’Institut Catholique di Parigi), incarna alla perfezione la definizione di “principe della Chiesa”, e non solo perché porporato. Eppure le sue opinioni contraddicono “Roma locuta”.
Del resto è già penoso constatare che i più titolati e influenti fra i pastori della Chiesa nutrano opinioni proprie in materie che impegnano l’infallibilità del magistero. Le opinioni vanno infatti bene in parlamento, sui giornali, nei talk show, al limite al bar, ma non su questioni la cui verità non è frutto di dibattito. Sui princìpi della fede e della morale l’insegnamento della Chiesa Cattolica è uno per il semplice fatto che, dice la Chiesa, quei princìpi sono tali per rivelazione.
Chiunque è liberissimo di non accettarli, ma uno che sceglie di fare il prete va da sé che li accetti. Altrimenti perché fa il prete? Prendiamo un esempio oggi in voga: l’ordinazione femminile. Il card. Schönborn sembra avere un’opinione in tesi favorevole, ma in pratica è attendista perché sul tema dice una cosa importante. Non è compito di un Papa modificare il divieto. Lo stesso dicasi per celibato dei sacerdoti e ordinazione di uomini sposati. Anche qui l’alto prelato dice che non spetta a un Pontefice cambiare. È però quel che il porporato aggiunge a contrastare con quel che la Chiesa Cattolica dice e fa. Per il card. Schönborn, infatti, non è un Papa a dover intervenire sul tema perché il tema è troppo grande persino per un Papa.
Dunque, dice il card. Schönborn, ci vorrebbe un concilio, cosa perfettamente in linea con il favore con cui il porporato guarda alla “sinodalità”. Ora, questa è diventata la parola d’ordine di chi vorrebbe fare della Chiesa una sorta di parlamentarizzazione del Corpo Mistico di Cristo in cui il mezzo (la consultazione delle varie componenti della Chiesa) viene scambiato con il fine (il governo della Chiesa). Ebbene, anche il più miscredente dei mangiapreti si rende conto che l’idea che le verità di fede e di morale possano essere prese con il voto, per alzata di mano o patteggiando fra correnti equivale alla morte della Chiesa stessa.
Che quello sia il pensiero del card. Schönborn lo dimostra la questione delle coppie omosessuali. In una intervista lucidissima rilasciata il 28 marzo 2021 alla Österreichischer Rundfunk, la tivù di Stato austriaca, il porporato disse che il Vaticano sbaglia a non benedirle. A favore della benedizione si erano e si sono ovviamente espressi numerosissimi suoi colleghi della Chiesa di lingua tedesca, anche attraverso petizioni popolari. Insomma, per il card. Schönborn il Papa deve essere sì l’arbitro delle questioni nodali, ma la decisione ultima spetta poi al peer-reviewing operato da un VAR di co-gestori verosimilmente vocianti e litigiosi, che, tira di qui e molla di là, chiudono tutto con un compromesso. Come un patronato, una lobby, un gruppo di pressione: invece della Chiesa Cattolica, la Confecclesia.
Irriconoscibile davvero il card. Schönborn. Definito a suo tempo «figlio spirituale» di Benedetto XVI, con il card. Joseph Ratzinger lavorò al Catechismo della Chiesa Cattolica. Memorabili certi suoi interventi di dottrina, impeccabili per forma e sostanza. Poi però il vento è cambiato e l’alto prelato si è allineato al gruppo frondista della Chiesa tedescofona. Un Papa banderuola, però, non lo vuole nessuno.