«La magistratura italiana si trova ad affrontare un periodo davvero difficile, da un lato deve affermare la sua indipendenza e dell’altro deve recuperare autorevolezza per ripristinare un sentimento di fiducia presso i cittadini che, mi creda, è un problema non da poco».
Raffaele Della Valle è un nome che ai più giovani, eccezion fatta per quelli che hanno studiato Giurisprudenza, forse non dirà nulla: eppure, l’avvocato Della Valle, è uno dei penalisti che più di tutti conoscono le logiche di una giustizia che, spesso, sembra essere più spettacolo che procedura. Ha 86 anni, indossa la toga da 62, è un signore vecchia scuola che ti lascia finire di parlare prima di rispondere, snocciola brocardi e citazioni come un libro stampato e non ha la tracotanza di ricordare ogni cinque minuti che è stato lui a difendere Enzo Tortora nel processo più seguito della storia italiana (e anche nell’errore giudiziario più clamoroso dell’ultimo mezzo secolo): «Eppure», continua, «è da oltre trent’anni che si è in presenza di un suo passo del gambero, irreversibile e che porta a un cambiamento antropologico».
Avvocato Della Valle, l’abbiamo presa alla larga però va bene così. A quale cambiamento allude?
«A quello della magistratura stessa. Mi perdoni, è una premessa ma è necessaria. Piero Calamandrei definiva i magistrati come “asceti condannati alla solitudine, all’isolamento e capaci di rimanere con discrezione al proprio posto”. Sinceramente queste parole il sottoscritto le sente stonate e stridenti rispetto alla realtà che ha sotto gli occhi».
In che senso?
«Non è condivisibile è il mancato rispetto delle regole circa il diritto alla riservatezza e soprattutto alla presunzione di innocenza.
Prenda il caso di Garlasco di cui non intendo entrare nel merito. Ora siamo nella fase delle indagini preliminari, quindi ci sono norme da rispettare severissime. Ben vengano gli atti istruttori che il pubblico ministero ritiene di fare, ma non vanno reclamizzati ed evidentemente non vanno enfatizzati. Vanno, semmai, coperti da un rigoroso segreto di indagine. Pare invece che si stia ritornando all’epoca precedente la riforma di Vassalli, ecco perché dico che è il passo del gambero. Oramai si trasforma quello che è un’indagine in una sorta di partita di pallone. Ha presente Tutto il calcio minuto per minuto? Qui abbiamo “Tutta l’inchiesta minuto per minuto”».
Cioè è ogni cosa sotto i riflettori?
«Esatto. E il rischio è di avere una specie di baraccone popolare dove si esibiscono avvocati, giornalisti, criminologi, consulenti e periti. Molti dei quali, tra l’altro, sono così esperti da non avere mai visto un'aula giudiziaria. Però partecipano lo stesso al circo mediatico».
Cosa si può fare?
«Anzitutto c’è da chiedersi chi stia evidentemente violando il segreto investigativo. Dopodiché io penso sia utile istituire una legge che individui per ogni atto coperto dal segreto investigativo un referente, un responsabile, che ne risponda ogni qual volta una notizia, capita quasi prima ancora di compiere l’atto, finisce sui giornali. Un po’ come per i farmacisti».
Prego? Che c’entrano adesso i farmacisti?
«Il farmacista quando tiene i veleni li mette in un armadio e ne è responsabile. Per i pubblici ministeri dev’essere lo stesso, una notizia può essere davvero un “veleno” per chine è il destinatario in una tristissima vicenda. Ragiono in astratto: quando un carabiniere fa una perquisizione, il magistrato gli consegna l’atto e gli dice: “Ora ne sei responsabile, non deve trapelare alla stampa”. Questo è un primo punto, ce ne sono altri».
Quali?
«Finora il mondo giudiziario è stato caratterizzato da un certo “ateismo scientifico” e..».
Mi scusi. Cosa significa “ateismo scientifico”?
«Ci si è basati sulle testimonianze, magari sul sentito dire. Si sono fatte ricerche a seconda di come tirava il vento. Adesso, invece, ci scopriamo tutti scienteisti. La scienza è infallibile e allora quello che è successo decenni anni fa viene rivisto alla sua nuova luce. Può essere giusto, non mi fraintenda, ma così il processo non si ferma mai. Se il genetista del 2007 viene soppiantato dal genetista del 2025, chi mi dice che nel 2035 non ne arrivi un terzo collega? A questo punto non si finisce più. Ed è un problema che ci si deve porre».
D’accordo, però l’istituto della revisione è previsto dal codice penale, è una garanzia del processo.
«Certo. Me lo faccia dire chiaro: è sacrosanto il diritto della difesa, di Stasi in questo caso, a presentare una legittima istanza di revisione ed è ancora più sacrosanto il dovere della procura di effettuare i doverosi accertamenti. Le aggiungo di più: magari lo facesse sempre perché, purtroppo, molto spesso non è così zelante. Posto ciò, attenzione: Adelante, Pedro, ma con juicio. La revisione è un fatto eccezionale, non è sufficiente la disposizione di una perizia per avviarla. Ci sono dei periti che dicono che Cristo è morto di infarto».
Diciotto anni dopo i fatti è difficile ricostruirli anche per chi li ha vissuti, non crede?
«L’audizione di un teste a così lunga distanza è qualcosa di labile, sì. Guardi, io sto stigmatizzando un sistema perché oggi ci sono due poveracci che ormai sono sulla bocca di tutti, ma domani ce ne saranno altri, magari saremo io e lei».
Faccio le corna, anche se ha perfettamente ragione. Ma lei, Garlasco, come la vede?
«Non sono così presuntuoso da detenere il verbo della verità, men che meno per un caso che non ho trattato personalmente. Però di processi in corte d’assise ne ho masticati tantissimi. Questo ha una serie di rischi e una serie di dubbi, adesso cominciano a essere tanti quel liche potrebbero esserne travolti. L’importante è che si facciano le indagini con zelo. Habent sua sidera lites, dicevano gli antichi e saggi latini. Però dovremmo darci una regolata. Ecco, questo sì».