Da Berlusconi alla Meloni: è l'azzurro il colore politico del cardinal Ruini

Di rosso il monsignore emiliano ha solo il sangue e i paramenti sacri
di Francesco Damatodomenica 3 agosto 2025
Da Berlusconi alla Meloni: è l'azzurro il colore politico del cardinal Ruini
3' di lettura

Di rosso il cardinale Ruini – Camillo come il prete emiliano, e perciò conterraneo, passato dalla fantasia di Giovannino Guareschi allo storico film del 1955 recitato da Fernandel, contrapposto al comunista sindaco Peppone - ha soltanto, diciamo così, il sangue che gli scorre nelle vene da 94 anni e mezzo e i paramenti sacri e abiti d’ordinanza. Ma i suoi colori politicamente preferiti sono stati e sono altri.

Prima è stato il bianco del giglio metaforicamente applicato da Amintore Fanfani alla giacca della Democrazia Cristiana, il cui scioglimento da parte dell’ultimo segretario Mino Martinazzoli il cardinale Ruini sconsigliò inutilmente, parlandone con tutti quelli che bussarono alla sua porta in quei giorni non per confessarsi, o non solo, ma proprio per sondarne umori e raccoglierne pareri. Poi il colore politicamente preferito da Ruini è stato ed è rimasto l’azzurro.

L’azzurro prima del suo amico e devoto Silvio Berlusconi, che preferiva proprio l’azzurro al forzista che i giornalisti gli applicavano dal nome del partito che egli aveva fondato scendendo in politica per candidarsi direttamente alla guida del governo. E vincendo clamorosamente sulla «gioiosa macchina da guerra» allestita con spavalderia goliardica dall’ultimo segretario del Pd e primo del Pds Achille Occhetto. Dopo, consumatasi la guida berlusconiana del centrodestra col criterio del peso elettorale di ciascuno dei partiti della coalizione, è subentrato l’azzurro della destra di Giorgia Meloni. Ai cui “Fratelli d’Italia” Ruini ha appena riconosciuto il merito, in una lunga “confessione” con la Stampa, di avere stabilizzato una politica dagli equilibri incerti o confusi.

Nella cosiddetta prima Repubblica -ha ricordato Ruini- «per 40 anni il voto era consolidato» fra «il grosso che votava Dc o Pci» e «il resto Psi e partiti laici». «Poi -ha detto ancora il cardinale -«c’è stata una fase in cui i voti hanno cominciato a spostarsi rapidamente con leadership che passavano in poco tempo dal 3 al 30%», come nel caso delle 5 Stelle di Beppe Grillo. «O viceversa», ha aggiunto Ruini. Ma «adesso siamo entrati in un’epoca differente e, più o meno, c’è una certa stabilità con un partito come Fratelli d’Italia che può contare all’incirca sul volume di consensi che aveva Forza Italia nel periodo più favorevole». E iniziale, che sorprese e spaventò a tal punto, fra l’estate e l’autunno del 1994, l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro da chiamare al Quirinale anche il cardinale Ruini per chiedergli aiuto nel piano di crisi del primo governo di Berlusconi. E vederselo rifiutare con grande sorpresa, oltre che rammarico, non essendo evidentemente informato, pur con tutti gli apparati comunicativi di cui disponeva al Quirinale, della simpatia, se non ancora dell’”amicizia” fra il Cavaliere di Arcore e il presidente della Conferenza episcopale italiana. Amicizia ora dichiarata da Ruini senza infingimenti.

Al riconoscimento del ruolo «stabilizzatore» del partito della premier il cardinale ha voluto aggiungerne uno personale per lei. «Giorgia Meloni è davvero brava e ha saputo circondarsi di collaboratori di riconosciuto valore», ha detto il cardinale soffermandosi sul «sottosegretario a Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, giurista cattolico di indubbio spessore che ha dimostrato capacità e senso di responsabilità anche alla guida della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre». «Figura di garanzia», ha aggiunto il cardinale.

Di riflesso, come a Forza Italia capitò nella congiuntura eccezionale e sotto ceti aspetti drammatica del passaggio dalla prima alla seconda Repubblica di ereditare spazi elettorali e ruoli che erano stati della Dc e dei suoi alleati socialisti e laici, adesso -sembra di capire dal ragionamento e dalla ricostruzione storica di Ruini- proprio quegli spazi e ruoli sono condivi dalla destra meloniana. A dirlo, soffermandosi in particolare sulla Dc, non è solo ricorrentemente l’ex ministro Gianfranco Rotondi.

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